IL GIUDAISMO E LA STORIA

torahPRIMA DEI PROFETI.

Il popolo di Israele

• Circa 2000 anni a.C., appaiono in Mesopotamia, provenienti da oltre l’Eufrate, tribù nomadi che i popoli già insediati nella regione (Accadi, Babilonesi, ecc.) chiamano "Ebrei" (coloro che oltrepassano il fiume: il verbo eberu significa "oltrepassare") [1]. Fra questi nomadi, fra questi Ebrei, alcuni hanno pratiche religiose assai originali: non adorano che un Dio (monoteismo); si tratta di un clan che probabilmente radunava alcune centinaia di persone e il cui capo – il patriarca – era chiamato, secondo la tradizione, Abramo [2]. La Bibbia racconta che egli partì da Ur, città del golfo Persico, mentre Hammurabi regnava a Babilonia (nel XVIII secolo a.C.) per stabilirsi, con il suo clan, in Palestina; suo figlio Isacco e suo nipote Giacobbe gli sarebbero succeduti al comando del clan.

• Giacobbe fu soprannominato Israele, cioè "colui che lotta con Dio", perché aveva combattuto tutta una notte, racconta la Bibbia, contro l’Angelo di Dio:

"Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto" (Genesi, XXXII, 28).

In seguito gli Ebrei, discendenti da Giacobbe, vennero chiamati israeliti, il popolo di Israele, o anche Israele.

Essi si raccolsero, dice la leggenda, in 12 tribù alle quali avevano dato nascita i 12 figli di Giacobbe, di cui diamo l’elenco: Ruben, Simeone, Levi, Giuda (figli di Lia, sorella di Rachele); Dan e Neftali (figli di Bilha, schiava di Rachele); Gad e Aser (figli di Zilpa, sorella di Lia); Issacar e Zabulon (figli anch’essi di Lia), Giuseppe e Beniamino (figli di Rachele, la moglie di Giacobbe).

• Gli Israeliti emigrano nel XVII secolo a.C. in Egitto ove costituiscono una minoranza sfruttata e turbolenta. Nel XIII secolo a.C., sotto la guida di uno dei loro (Mosé), essi lasciano l’Egitto ed attraversano il deserto del Sinai (Esodo): sul monte Sinai il Dio degli Israeliti detta a Mosé i comandamenti divini che furono scolpiti – secondo la tradizione – sulla pietra (le tavole della Legge).

• Insediatisi in Palestina, gli Israeliti nominano come capi, dei giudici (Iefte, Gedeone, Samuele, ecc.), poi dei re. Saul (verso il 1030 a.C.), Davide (morto verso il 970 a.C.) e Salomone (970-931 circa) fondano in un secolo un regno la cui capitale è Gerusalemme; alla morte di Salomone, si formano il Regno d’Israele (dieci tribù: capitale Samaria), nel nord, e il Regno di Giuda (due tribù: capitale Gerusalemme), nel sud. Le rivalità fra Israele e Giuda causano la distruzione di questi due Stati; nel 721, l’assiro Sargon II distrugge Israele; nel 587, il babilonese Nabucodonosor conquista Israele, distrugge il tempio di Salomone (586) e deporta in Babilonia una parte della popolazione del Regno di Giuda: è l’esilio o cattività di Babilonia (586-536).

• Ciro, il re di Persia, autorizza nel 536 la costituzione di un piccolo Stato vassallo, che si estende attorno a Gerusalemme. Poiché il territorio di questa provincia corrispondeva all’incirca all’antico regno di Giuda, i suoi abitanti si chiamarono Ebrei o Giudei: il potere apparteneva ad una casta sacerdotale, che ricostruì il tempio ed impose la rigida osservanza delle leggi religiose. Durante la cattività di Babilonia, mentre il popolo ebraico si disperde nel mondo mediterraneo (fenomeno chiamato diaspora), dal monoteismo primitivo si sviluppa la religione chiamata giudaismo. Vedremo, studiando la storia antica dell’Oriente, che la potenza di Israele al tempo di Davide e di Salomone corrisponde all’eclissi delle grandi potenze orientali (Egitto e Mesopotamia).

Le fonti della religione ebraica

La religione ebraica si basa su un insieme di testi che comprendono l’Antico Testamento e i diversi commentari ufficiali sulla Bibbia.

I 24 libri dell’Antico Testamento non hanno lo stesso ordine nella Bibbia ebraica e nella Bibbia cristiana; qui abbiamo:

I – la Torah (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deutoronomio);

II – Profeti (Primi Profeti: Giosuè, Giudici, Samuele 1 e 2, Re 1 e 2 – Secondi Profeti: Isaia, Geremia, Ezechiele, i dodici piccoli profeti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia);

III – Gli Scritti: Salmi, Proverbi, Giobbe, i Cinque Megilloth (Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester), Daniele, Esdra, Neemia, Cronache 1 e 2.

Dopo l’istituzione del canone biblico (nel 98 d.C.) inizia l’esegesi e l’interpretazione dei Libri sacri.

Problemi critici. Secondo la tradizione giudaica, nelle tre grandi sezioni (Torah, Profeti, Scritti) la cronologia degli argomenti esposti corrisponde alla cronologia di composizione dei libri stessi.

Così essi sono disposti in serie cronologica discendente: prima il Pentateuco (Torah), opera di carattere legislativo, scritto da Mosé; poi i Profeti anteriori, che sono essenzialmente libri storici, indi i Profeti posteriori, che sono scritti profetici veri e propri. Quindi, sempre secondo la tradizione, la storia d’Israele si svolge in tre grandi periodi: quello della legge, quello della storiografia e quello del profetismo.

La critica moderna ha invece invertito questo ordine trasformandolo nella serie cronologica: profetismo, storiografia, legge; ciò significa che la produzione letteraria del profetismo sarebbe più antica di quella delle altre due sezioni del Canone. Nota è la teoria di J. Wellhausen sui libri dell’Antico Testamento. Secondo lo studioso, i documenti più antichi della letteratura ebraica giunti fino a noi sono dei canti popolari essenzialmente celebrativi, in cui lo spirito religioso è quasi del tutto assente.

Verso la metà del IX secolo a.C., cominciano ad essere scritti abbozzi di storie religiose tratte dalla tradizione popolare: di questo periodo è il documento jahvista (chiamato così perché vi appare per la prima volta il nome di Jahvé riferito a Dio). Circa un secolo più tardi viene scritto invece il documento elohista (così chiamato perché l’appellativo di Dio qui è Elohim). Benché fossero stati composti in due epoche diverse ed in due zone distinte (il primo nel regno meridionale di Giuda ed il secondo nel regno settentrionale di Israele), i due scritti sono molto simili e narrano entrambi leggende cicliche di origine popolare. Lo jahvista inizia la narrazione dalle origini del genere umano, mentre l’elohista dalle origini della stirpe ebraica, cioè da Abramo. Ma ambedue, con questi racconti mitici e leggendari (tutti provenienti da Babilonia e dall’Egitto), cercano di spiegare come la nazione di Israele si sia stabilita nel Canaan.

Verso la fine dello VIII secolo a.C., questi documenti furono fusi in un solo racconto, pur mantenendo intatte le loro primitive caratteristiche. Nello stesso periodo si sviluppa la produzione letteraria dei profeti, il cui scopo non era storico o legislativo ma di riforma morale e religiosa.

In quel tempo, infatti, esisteva un complesso di norme comportamentali da seguire, non scritto, bensì tramandato oralmente di generazione in generazione: quando si presentava un caso problematico, la soluzione dello stesso veniva affidata all’autorità del sacerdote. Il profetismo quindi sorge per dar nuova vita ad un complesso di leggi sancito solo dall’abitudine, per definirne le norme (pur aborrendo una legislazione burocratica della religione) e per spiritualizzarne il contenuto. Più tardi invece si sente l’esigenza di una legislazione vera e propria, espressa in norme fisse ed indiscutibili: quel libro della Torah (che secondo il racconto biblico fu ritrovato nel tempio di Gerusalemme ai tempi del re Giosia, nel 621 a.C.) fu compilato per supplire a questa carenza.

Esso fu il primo testo scritto che esponesse un’organica legislazione religiosa, un vero e proprio corpus legale; fu poi incorporato nel Deuteronomio di cui formò il nucleo più antico. Questa antica legislazione deuteronomica esercitò inoltre una grande influenza sulla successiva attività giuridica ed anche su quella storiografica.

La nuova codificazione diede origine al codice presbiteriale (o sacerdotale), in cui una serie di prescrizioni rituali si intreccia a una storia mitico-religiosa che dalla creazione del mondo arriva fino ai tempi di Giosuè. La vera legge ebraica, la Torah, sembra invece sia stata composta verso la fine del V secolo a.C.: Esdra e i suoi discepoli fusero in un solo scritto il codice sacerdotale e l’antico documento jahvista-elohista (rivisto ed ampliato dalla legislazione deuteronomica) e vi aggiunsero la storia religiosa della nazione che si riferiva ai tempi più recenti.

Le vicende delle varie redazioni della Torah coinvolsero il Pentateuco e il libro di Giosuè (cioè tutto l’Esateuco); a questa parte fu aggiunta l’ulteriore storia dei Giudici, Samuele e Re, tratte da annuali e da tradizioni orali sottoposte a revisione per accordarle con lo spirito generale del Deuteronomio e del Codice Sacerdotale.

Questa in breve, la teoria di Wellhausen, teoria basata su una complicata successione di vicende, e che si fonda su supposizioni non confermate da alcuna esplicita testimonianza o documento scritto. Essa è stata formulata mediante la critica interna dei testi biblici, avvalendosi dell’applicazione di particolari principi filosofici alla storia religiosa del popolo ebraico.

La teoria del Wellhausen ha dominato per oltre un trentennio nel campo della critica scientifica. Tuttavia la critica più recente, pur conservando talune linee principali del sistema, tende a contestarne alcune affermazioni.

Alcune scoperte archeologiche avvenute nel XX secolo, pur non riferendosi direttamente e specificatamente alla storia d’Israele, hanno tuttavia contribuito ad inquadrare meglio lo sfondo storico su cui la nazione è sorta e si è sviluppata. Il complesso ed elaborato codice del re babilonese Hammurabi e le molte leggi sparse dei Sumeri, Ittiti e Assiri sono tutti documenti che precedono e in certi aspetti anticipano certi contenuti della tradizione ebraica.

I documenti cuneiformi di Tell Amarnah e i ritrovamenti archeologici di Palestina permettono un confronto tra personaggi e avvenimenti biblici da una parte e dati e personaggi della storia popolare dall’altra: con l’aiuto di queste fonti, si è giunti ad affermare che gran parte degli avvenimenti biblici (specialmente quelli della storia più recente) trovano conferma nelle testimonianze profane dello stesso periodo.

Un altro aspetto della teoria del Wellhausen, assai contestato, è quello del metodo basato sulla critica interna del testo, metodo considerato estremamente soggettivo se non viene sostenuto e confermato da documenti e testimonianze dell’epoca. Intorno al problema della pluralità di documenti e fonti utilizzate dall’autore della Legge, c’è un unanime consenso nel campo della critica moderna, e lo stesso per quanto riguarda la questione dei vari ritocchi redazionali della Torah avvenuti nel corso dei secoli.

La teoria del Wellhausen e di altri critici riguardante l’evoluzione della religione d’Israele da primitive forme politeistiche al più puro monoteismo viene desunta dalla narrazione della Bibbia stessa. Secondo questi studiosi il monoteismo sarebbe storicamente infondato, sarebbe cioè una copertura dovuta a quella revisione delle tradizioni storiche che fu compiuta secondo lo spirito del Deuteronomio. I lineamenti di "religiosità bassa" (cioè politeistica e pagana) che emergono qua e là nella narrazione dei libri sacri, sarebbero così gli unici reali e storicamente attendibili. Questo parallelismo tra monoteismo e politeismo viene spiegato dalla critica moderna con varie argomentazioni. Le forme religiose politeistiche (sempre a livello di ipotesi) sarebbero infiltrazioni penetrate dall’esterno, in modo più o meno profondo, in un primitivo ambiente monoteistico già ben formato, oppure potrebbero essere considerate residui di una mentalità politeistica, persistente in un sistema il cui nucleo principale era già saldamente monoteistico; alcuni studiosi definiscono questo miscuglio polimonoteistico come religione popolare.

Per stabilire quale di queste spiegazioni è quella più attendibile, occorre procedere all’esame critico dei testi coadiuvato dal metodo storico-comparato. Tuttavia nell’applicazione di questo metodo influiscono molto i princìpi filosofici da cui si parte: per quanto riguarda la questione della Legge, la linea discriminante è stata e sarà sempre l’accettazione o la negazione della Rivelazione divina che secondo le fonti ha ispirato i sacri scritti.

La Mishna (ripetizione) è un insieme di commentari sulla Torah, codificata da Giuda Hanassi (135-219 circa) e i suoi discepoli, i tannaim (insegnanti); essa comprende sei sezioni o ordini (Sedarim): Le Semine, Le Stagioni, Le Donne, Diritto civile e penale, Diritto religioso, Le Purificazioni; 63 trattati (Massekhlot) e 523 capitoli (perukim). La Mishna è il risultato di un lungo lavoro di interpretazione (i Midrashim) che è iniziato con Hillel il Vecchio (30 a.C.).

La Ghemara è l’insieme di commentari sulla Mishna, effettuati da commentatori chiamati amoraim.

Il Talmud (insegnamento) è il codice fondamentale giudaico; esso completa la Bibbia. Il Talmud comprende la Mishna e la Ghemara. Opera monumentale, vera enciclopedia del giudaismo, fu elaborata in più di sette secoli. Se ne conoscono due versioni:

Il Talmud di Gerusalemme è costituito dalla Ghemara della scuola di Tiberiade (origini: Yohanan ben Nappakha, 199-279); la sua forma definitiva risale alla fine del IV secolo; prima edizione stampata nel 1520.

Il Talmud di Babilonia si basa sulla Ghemara delle scuole di Babilonia (Rab Ashi, 352-427, e Rabina, 474-499), molto più importante del Talmud di Gerusalemme: prima edizione stampata nel 1523 (Venezia).

L’insegnamento del Talmud verte sulla Halakha (giurisprudenza, cammino da seguire) e sulla Haggada (insegnamento aneddotico, folklore); la Haggada contiene due Midrashim (interpretazioni): il Midrash Rabba (la Grande Mishna) e Il Midrash Tanchouma (interpretazione sul Pentateuco). Diffuso, commentato e riassunto, il Talmud ha dato origine ad un’enorme letteratura talmudica.

La sintesi più importante è quella dell’ebreo spagnolo Maimonide (1135-1204) la cui opera, dapprima scritta in arabo, è stata più tardi tradotta in ebraico. Il riassunto di Maimonide è un testo ufficiale per la sinagoga.

• Altri testi di interpretazione: Il Targum (traduzione), di cui si conoscono tre versioni aramaiche ufficiali; l’insieme di addizioni (Tosephtah) alle tradizioni orali e la codificazione ufficiale del Talmud, che risale al 1565: il Shulhan Arukh.

La cabala

La parola qabbalah (significa in ebraico: "tradizione"). All’origine la parola Cabala (o kabbala) indica l’insieme delle dottrine più o meno segrete che hanno, come punto di partenza, la Bibbia e il Talmud e che riguardano specialmente l’origine del mondo, la conoscenza e la contemplazione del mistero divino, la gloria di Dio sul suo trono. I numerosi trattati che costituiscono la Cabala sono stati composti fra il I e il X secolo d.C.; ve ne sono ancora numerosi inediti.

I due libri più famosi della Cabala sono il Libro della Creazione (Seter Jetzira) e Il Libro dello Splendore (Seter ha-Zohar).

Il Libro della Creazione è stato composto tra il III e il VI secolo d.C.; contiene una cosmogonia e una cosmologia. Gli elementi del mondo sono costituiti dai dieci attributi della divinità o anche i dieci primi numeri (i dieci Sefirot) e dalle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico; l’insieme costituisce i "trentadue sentieri misteriosi della saggezza". Tutti gli aspetti della realtà, le diverse parti del corpo umano, le "potenzialità dell’anima" sono legate ai dieci Sefirot e alle ventidue lettere.

Il Libro dello Splendore attribuito a Simeone Ben Jochai (fine del I secolo d.C.) fu in realtà scritto (o compilato) da un ebreo spagnolo di Granada, Mosé de Léon (circa 1250-1305). É un commentario lirico e mistico, scritto in aramaico, del Pentateuco. Vi si ritrova una cosmogonia e una cosmologia collegate con quelle del Libro della Creazione.

L’insegnamento cabalistico prosegue fino al XVIII secolo; vi si trovano delle tracce anche in alcuni pensatori cristiani. Tesoro di immaginazione e di poesia, la Cabala è sfortunatamente diventata, ai nostri giorni, preda degli occultisti, dei ciarlatani e dei taumaturghi.

Fonte: Enciclopedia Alfatematica – Microforum – Peruzzo Informatica (dal sito http://www.volpin.it/helpstudenti/storia/giudaismoestoria.htm)

[1] Scrive Donald J. Wiseman (Biblioteca Sacra 134, April-June 1977 -123/130): << While it may be argued that the designation “Abraham the Hebrew” accords with much of the traditions of the early semi-nomads or Habiru, there is no certainty as to the meaning of the word “Hebrew”. Suggestions include “dusty ones (epru); “providing/receiving subsidies” (eperu, ‘pr); “transferred, without a stable habitat” (‘apr); “confederates” (ebru); “lord” (Hurr.ewri); or, more likely, “one who passed through, crosses territory” (‘eberu), i.e. a stranger who has left his country and crosses a frontier or “one who seeks a new means of existence after having lost his place in the old order of things.” Though this last agrees with the Septuagint interpretation of Genesis 14:13, which describes Abraham as “the wanderer, the transient, he who passes through”, it can be questioned whether this is in keeping with the stated life of the patriarch.>>

[2] Non conosco le fonti dalle quali ha attinto il redattore dell’Enciclopedia Alfatematica. Esiste tuttavia una tesi storica degna di nota (un’accurata bibliografia sull’assunto è fornita da Cyril Aldred, "Akhenaten", Thames and Hudson Ltd., London, 1968) che collega il nucleo originario del monoteismo ebraico al culto solare introdotto dal faraone Akhenaton. Le maestranze che parteciparono alla costruzione della nuova capitale Amarna, infatti, sembra appartenessero prevalentemente a detta minoranza. Se tale tesi fosse corretta, il monoteismo avrebbe fatto la sua apparizione tra gli ebrei non prima del XIV secolo a.c. La loro successiva cacciata dall’Egitto potrebbe perciò ascriversi alla profonda ostilità che l’apparato sacerdotale tradizionale egiziano provava nei confronti di coloro che avevano sostenuto Amenhotep IV e le sue riforme e alla volontà del potere  (ri)costituito di procedere all’epurazione di tutti i potenziali nemici.  

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