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MOSTRALA NEL CINEMA DI VENEZIA
COMING SOON
DE REDITU – IL RITORNO
Un film sulle persecuzioni perpetrate dai cristiani contro i pagani negli anni che precedettero la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
Claudio Rutilio Damaziano.
Nato forse a Tolosa, fu præfectus urbi di Roma nel 414.
L’anno seguente o poco dopo fu costretto a lasciare Roma per far ritorno nei suoi possedimenti in Gallia devastata dall’invasione dei Vandali. Tale viaggio – condotto per mare e con numerose soste, dato che le strade consolari erano impraticabili e insicure dopo l’invasione dei Goti – venne descritto nel De Reditu suo, un componimento in distici elegiaci, giuntoci incompleto: l’opera si interrompe al sessantottesimo verso del secondo libro con l’arrivo del protagonista a Luni; ma nel 1973 la paleografa Mirella Ferrari ha ritrovato un nuovo breve frammento del II liber che descrive la continuazione del viaggio fino ad Albenga. L’opera (scoperta nel XV secolo) è ricca di osservazioni topografiche e citazioni di classici latini e greci.
Namaziano è, cronologicamente, l’ultimo autore del mondo letterario latino e pagano. Dal punto di vista ideologico, Rutilio è un aristocratico pagano che non accetta i tempi nuovi, in quanto rifiuta i culti cristiani, da lui considerati estranei alla tradizione di Roma.
GAMES OF “THRONES DI PIETRO”
BORN TO GRILL
PROSSIMAMENTE AL CINEMA
“POMPEII” OVVERO PERCHE’ L’UNESCO DOVREBBE IMPEDIRE CERTI FILM
Staffe: ormai lo sanno perfino i bambini dell’asilo che i romani cavalcavano senza staffe. Le staffe vennero introdotte solo nel quinto secolo, dopo la calata degli unni¹ che furono i primi ad adottarle e che ne derivavano la loro magistrale abilità a cavallo. L’introduzione della staffa consentì anche lo sviluppo della cavalleria pesante o corazzata, che infatti caratterizzò gran parte dei secoli successivi come principale arma da guerra.
Gladiatori: i gladiatori non erano carne da macello, ma atleti tenuti in grandissima considerazione tra i romani, al pari dei moderni pugili occidentali o dei lottatori di sumo in giappone. Per questo, il loro addestramento e mantenimento richiedeva grandi risorse economiche. Per quanto schiavi o proprio in quanto tali, costituivano un patrimonio economico che non veniva certo sprecato in qualsiasi occasione per semplice divertimento. La soppressione di un gladiatore, dunque, o avveniva per mero accidente o consacrava un qualche rituale assolutamente unico e straordinario.
Rivalità tra Roma e Pompei: la rivalità tra Roma e le altre città italiche appartiene al periodo repubblicano e trova il suo apice ai tempi di Caio Mario, con le guerre sociali. I notabili delle città di provincia appartenevano normalmente alla classe senatoria, la medesima della quale fa parte, nel film, il senatore Corvo. Si tratta perciò d’un confronto tra “pares” (lo stesso imperatore, all’inizio dell’era augustea, era definito “princeps” o primus inter pares, a denotare la sua appartenenza a quell’oligarchia senatoriale che non conosceva differenze gerarchiche tra i propri membri). Vi erano tensioni e rivalità, ma queste riguardavano i rapporti con le classi inferiori da parte dell’aristocrazia dominante assimilata ai romani.
Schiavi: nessun cittadino romano (e lo erano a tutti gli effetti anche quelli di Pompei, assieme agli italici in generale) avrebbe mai dato la confidenza che nel film viene data da Cassia alla propria schiava personale e allo schiavo che accudiva il suo cavallo.
Baciamano: il senatore Corvo fa il baciamano alla moglie di Severo e madre di Cassia. Il rito del baciamano alle donne venne introdotto solo nel Medioevo ed era un atto di sottomissione al dominus e d’impegno al rispetto del suo talamo coniugale da parte dell’ospite che giungeva al castello. In realtà, non veniva baciata la mano ma solo sfiorato l’anello nuziale in segno di riverenza nei confronti del vincolo coniugale che legava la castellana al signore del maniero. Veniva praticato solo nei confronti delle donne sposate e il gesto doveva essere manifestato sull’anulare sinistro.
Patronimici: se il padre si chiamava Severo, la figlia non avrebbe dovuto chiamarsi Cassia, ma anche lei Severa. Le donne romane, infatti, non disponevano di grandi scelte per i loro nomi, che venivano perlopiù mutuati dal nomen della famiglia o gens (Iulia, Iulilla, Agrippina maggiore, Agrippina minore, ecc.)
Finanziamenti: Roma non finanziava le opere pubbliche nelle città della provincia. Queste venivano finanziate dai notabili locali tramite l’evergetismo; in questo modo, si ponevano in vista per il concorso alle cariche pubbliche decuriali nel locale municipio.
Pilum: le milizie romane non scagliavano mai l’hasta, tutta costruita in legno tranne la punta, come nel film. Vi erano dei legionari specializzati nel lancio del pilum, lancia costruita appositamente parte in legno e parte in ferro per la sua particolare funzione di essere lanciata.
Eruzione: Pompei venne sommersa da pomici, cenere e materiali piroplastici (mistura di gas roventi, ceneri e vapore acqueo) e non da un bombardamento di massi incandescenti stile “presa di Gerusalemme” del film “Kingdom of Heaven” di Ridley Scott. Se non fosse stato così, non l’avremmo certo ritrovata nello splendido stato di conservazione in cui è stata ritrovata. Anche lo tsunami che si vede nel film è un’invenzione del regista.
Lotte gladiatorie: le lotte gladiatorie erano combattimenti del tutto ritualizzati dove si apprezzava non tanto la mera prevaricazione del vincitore sul vinto, bensì la tecnica che veniva sfoggiata dal combattente. Come nel kata e nel kumite del karate o nello jigeiko del kendo, il sofisticato pubblico romano gradiva soprattutto la bellezza dello stile e la capacità di interpretazione dei vari ruoli gladiatori nelle loro figure retoriche tipiche (Traci contro Mirmilloni, Reziari contro i Secutores). Perciò, un combattente pur efficace ma privo di uno specifico stile, come “Il Celta” del film, non avrebbe riscosso nessun successo.²
¹In realtà pare la staffa sia stata introdotta dagli Avari, popolo federato con gli Unni e a questi strettamente imparentato
²http://www.gladiatores.it/conoscere.htm
RIFERIMENTI PITTORICI DEL BARRY LYNDON DI STANLEY KUBRICK
)
TANTO PER SAPERE
ECCO COME E PERCHE’ “LA GRANDE BELLEZZA” DI PAOLO SORRENTINO HA VINTO L’OSCAR
Il vero oscar, quindi (in Usa conta il produttore, essendo il padre del film) lo ha vinto Silvio Berlusconi, al quale va tutto il merito per aver condotto in porto questo business nostrano.
Ma nessuno in Italia lo ha detto.
E’ un prodotto PDL-PD-Lega Nord tutti insieme appassionatamente.
Il film ha vinto esattamente nello stesso modo in cui aveva vinto “Nuovo cinema Paradiso” nel 1990.
Per votare bisogna essere iscritti al MPAA (Motion Pictures Academy of Art) e bisogna essere sindacalizzati; dal 1960 vale anche il principio per cui chi è disoccupato non vota, nel senso che bisogna dimostrare con documenti alla mano che “si sta lavorando” da almeno gli ultimi 24 mesi ininterrottamente, garantendosi in tal modo il voto di chi sta veramente dentro al mercato. Perchè per gli americani l’unica cosa che conta per davvero è il mercato, per questo Woody Allen (autore indipendente) detesta Hollywood e non ci va mai, la considera una truffa. I votanti sono all’incirca 6.000 e sono presenti tutte le categorie dei lavoratori (si chiamano industry workers): produttori, registi, sceneggiatori, direttori di fotografia, macchinisti, tecnici del suono, delle luci, scenografi, sarti, guardarobiere, guardie di sicurezza, perfino i gestori degli appalti per gestire i catering sul set, ecc. Ogni voto vale uno, il che vuol dire che il voto di Steven Spielberg vale quanto quello di un ragazzino il cui lavoro consiste nel tenere l’asta del microfono in direzione della bocca del divo di turno nel corso delle riprese, purchè lo faccia da almeno due anni e paghi i contributi. Quando si avvicina il giorno della votazione scattano i cosiddetti “pacchetti” e a Los Angeles la lotta è furibonda e comincia la caccia già verso i primi di novembre, con i responsabili marketing degli “studios” (sarebbero le grandi majors) che minacciano, ricattano, assumono, licenziano, per convincere chi ha bisogno di lavorare a votare per chi dicono loro. Per ciò che riguarda i film stranieri la procedura è la stessa ma su un altro binario: vale il cosiddetto “principio Hoover” lanciato dal capo del FBI alla fine degli anni’50: vince la nazione che più di ogni altra in assoluto farà fare affari alle sei grosse produzioni che contano, acquistando i suoi prodotti. E’ il motivo per cui l’Italia è la nazione al mondo che ha collezionato più oscar di tutti (la più serva e deferente) e la Russia e il Giappone quelle che ne hanno presi di meno. Quando l’Italia, per motivi politici (o di affari) ha bisogno dell’oscar, allora costruisce un poderoso business (per la serie: vi compro questi quattro telefilm che nessuno al mondo vuole e ve li pago tre volte il suo valore) e lo va a proporre a società di intermediazione di Los Angeles collegate ai due sindacati più potenti californiani, da 40 anni gestiti da famiglie calabresi e siciliane, quelli che danno lavoro alla manovalanza tecnica e gestiscono i pacchetti, dato che controllano il 65% dei voti complessivi. Per i film stranieri bisogna avere un forte “endorsement”, ovvero un sostegno di persona nota nell’industria che garantisce a nome dei sindacati, come è avvenuto quest’anno con Martin Scorsese che si è fatto il giro presso la comunità di amici degli amici a Brooklyn.
24 anni dopo è la stessa cosa, con l’aggravante del tempo trascorso.
E’ la cartolina di un piccolo-borghese costruita (a tavolino) per venire incontro agli stereotipi degli americani votanti, attraverso un’operazione intellettualistica che non regala emozioni, ma soltanto suggestioni di provenienza pubblicitaria marketing negativa. In maniera ingegnosa e diabolicamente perversa propone delle maschere in un paese dove la verità artistica passa, invece, nella necessità dello smascheramento, cioè nel suo opposto.
Riguardando quell’intervista, ho scoperto, pertanto, che Toni Servillo ha stabilito che io sono un suo nemico.
Non lo sapevo.