Treviso, giudice inseguito in auto: “Io mi armo, lo Stato non c’è”

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Lettera aperta ai quotidiani Finegil del magistrato Angelo Mascolo: “Avevo superato un’auto e me la sono trovata dietro che mi abbagliava. Finché ho incontrato una pattuglia dei carabinieri. E i miei inseguitori hanno detto che volevano solo esprimermi critiche per la guida. Cosa sarebbe successo se mi avessero aggredito e io, armato come è mio diritto, avessi sparato? Troppe leggine tutelano simili gentiluomini”

di PAOLO GALLORI

SE UN GIUDICE irrompe a livello personale nel dibattito che divide la Nazione tra chi invoca il diritto di armarsi per difendersi e chi invece crede fermamente che l’uso della forza debba restare monopolio dello Stato, la sua opinione pesa. E se lo stesso giudice si schiera con il primo, proprio in quel Nordest dove esercita e dove il tema è rovente, il peso di quella opinione diventa incalcolabile. Perché destinato a spaccare il fronte di coloro ai quali proprio lo Stato demanda l’amministrazione delle sue prerogative chiedendo loro fedeltà e distacco rispetto ai tumulti dell’anima del comune cittadino.

Ma è proprio l’esperienza da comune cittadino che si sente in pericolo e scopre di non sentirsi protetto dallo Stato che ha indotto il togato trevigiano Angelo Mascolo a lanciare la sfida. Pubblicamente, con una lettera aperta indirizzata ai quotidiani veneti del gruppo Finegil in cui racconta dell’incubo personale vissuto non tra le pareti domestiche ma in auto, l’abitacolo come unica barriera protettiva dalla violenza della strada e solo l’acceleratore a cui affidarsi per sfuggire al male. Per tenersi a distanza dai fari abbaglianti di un inseguitore senza volto, che ti bracca e ti sfinisce. Come in Duel, il film di debutto di Steven Spielberg. Nella pellicola l’automobilista in fuga e il camion persecutore corrono su strade deserte e polverose che inaridiscono fino alla morte ogni primato della legge. Il giudice si imbatte invece in una pattuglia dei carabinieri. Ma il finale della storia non è quello che si aspetta. E allora Angelo Mascolo rompe gli indugi e annuncia: “D’ora in poi sarò armato”.

Nella lettera fa riferimento a un episodio accadutogli qualche sera fa. Aveva sorpassato un’auto di grossa cilindrata e una volta davanti si era ritrovato la maschera aggressiva della vettura incollata dietro e raffiche di abbaglianti ad accecarlo rimbalzando sui suoi occhi dallo specchietto retrovisore. Situazione anche piuttosto familiare agli automobilisti delle grandi città, dove sull’asfalto assieme alle auto corrono gli stress, i malumori, l’aggressività repressa di chi è al volante. Ma dove il coatto confronto con un “altro” senza identità risveglia anche paure e insicurezze addormentate tra le pieghe più profonde dell’inconscio.

Uno di quei momenti in cui ci si ritrova a sperimentare una legge della giungla con cui l’umanità si è illusa di aver chiuso con il contratto sociale. Il giudice è immerso in quello che percepisce come un confronto diretto e dalle conseguenze imprevedibili con un improvviso nemico, quando esce dalla giungla e torna nella civiltà, rappresentata dalla pattuglia di carabinieri. Di fronte alle divise, i selvaggi e aggressivi inseguitori tornano cittadini, ritrovano l’uso della parola. E si spiegano: Mascolo era stato “seguito” per “esprimere critiche sul suo modo di guidare”.

A freddo, il giudice si fa delle domande. E si dà le sue risposte, arrivando alla fine a dubitare del senso del suo stesso lavoro. “Se fossi stato armato, come è mio diritto e come sarò d’ora in poi, che sarebbe successo se, senza l’intervento dei carabinieri, le due facce proibite a bordo della Bmw mi avessero fermato e aggredito, come chiaramente volevano fare?”. E aggiunge: “Se avessi sparato, avrei subito l’iradiddio dei processi – eccesso di difesa, la vita umana è sacra e via discorrendo – da parte di miei colleghi che giudicano a freddo e difficilmente – ed è qui il grave errore – tenendo conto dei gravissimi stress di certi momenti”.

Il problema della legittima difesa “è un problema di secondo grado – accusa Mascolo – come quello di asciugare l’acqua quando si rompono le tubature. Il vero problema sono le tubature. E cioè: lo Stato ha perso completamente e totalmente il controllo del territorio, nel quale, a qualunque latitudine, scorazzano impunemente delinquenti di tutti i colori”. Per il giudice, “la severità nei confronti di questi gentiluomini è diventata, a dir poco, disdicevole, tante sono le leggi e le leggine che provvedono a tutelarli per il processo e per la detenzione e che ti fanno, talvolta, pensare: ma che lavoro a fare?”.

 

Pubblicato da hannibalector

"Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano mia madre e mio padre e tutti gli altri compagni"

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