IL PENDAGLIO DI ORFEO E IL PAPIRO DI DERVENI

Il pendaglio di Orfeo

Nel pendaglio Orfeo viene  presentato crocifisso. Sulla croce è posta la luna, con tutta probabilità ad indicazione  della dea Cibele. In alto si ha una serie di sette stelle dal significato oscuro. Dalla seconda guerra mondiale il reperto archeologico risulta disperso, probabilmente rubato dalle truppe d’occupazione russe.  Reso noto nel 1896, era conservato nei musei di Berlino, proveniente dalla collezione di E. Gerhard.

Le fonti d’ispirazione cristiana sostengono che si tratti d’un manufatto riconducibile al IV secolo D.C., ossia in pieno periodo Costantiniano, cosa invero assai improbabile. La maggioranza degli studiosi è più propensa a ritenere che la sua realizzazione possa essere avvenuta nel V – IV secolo  A.C.

Il papiro di Derveni

Il papiro fu scoperto nel 1962 a Derveni (Grecia settentrionale), in una tomba  della necropoli di Lete che apparteneva ad un nobile del luogo. Durante la  cerimonia funebre, il rotolo fu bruciato sulla pira e così carbonizzato poté  arrivare fino a noi: se non fosse per la ricca biblioteca di Ercolano, sarebbe  un caso unico in Europa, perché quasi tutti gli esemplari che conosciamo sono  stati preservati dal clima caldo e secco dell’Egitto. Ma il papiro di Derveni  è molto più antico di quelli sepolti ad Ercolano nel 79 dopo Cristo. Anzi, la datazione certa alla seconda metà del IV secolo avanti Cristo ne fa il più  antico manoscritto europeo conosciuto.

Il testo recuperato, su 26  colonne, contiene citazioni letterali di un poema in esametri attribuito al  mitico Orfeo, poeta-profeta di un culto misterico diffuso (con varianti)  in tutto il mondo greco, e il commento destinato agli adepti. Secondo la cosmogonia alla quale attinge l’anonimo autore, la Notte generò Urano (il cielo)  che divenne il primo re, poi subentrò Crono, al quale succedette Zeus,  identificato con l’aria e con la Mente universale. Il ruolo attribuito alla  Mente ha indotto alcuni filologi ad ipotizzare un influsso del filosofo  Anassagora, attivo ad Atene nel V secolo avanti Cristo.
Nonostante le difficoltà interpretative, è evidente  che si tratta di un testo preziosissimo. Secondo lo studioso Richard Janko, è  «la più importante testimonianza della religione e della filosofia greche venuta  alla luce dai tempi del Rinascimento» ed è anche «la più difficile da  comprendere». Per una dotta esegesi del papiro di Derveni, si veda qui.

In mancanza di buone fonti antiche, il papiro di Derveni assume un’importanza enorme: i testi di poesia orfica che ci sono pervenuti sono più tardi di vari secoli e identificare le credenze e le pratiche proprie del più antico ascetismo orfico è un problema inestricabile. La ricerca tende oggi a privilegiare gli aspetti comportamentali della cosiddetta «vita orfica», accanto all’insieme di dottrine proprie dell’orfismo.

A quanto pare, alla base stava l’idea che l’uomo ha un’anima immortale, temporaneamente imprigionata in un corpo mortale. Per assicurare la salvezza dell’anima bisognava perseguire la purezza con regole di vita pratica (essenziale l’astensione dal mangiare carne), con atti rituali periodici di purificazione e con cerimonie di consacrazione iniziatica. I risvolti potevano essere molteplici: per esempio, le usanze alimentari orfiche impedivano di partecipare ai sacrifici cruenti agli dèi della religione ufficiale, con possibili ripercussioni di carattere socio-politico.

Pubblicato da hannibalector

"Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano mia madre e mio padre e tutti gli altri compagni"

11 Risposte a “IL PENDAGLIO DI ORFEO E IL PAPIRO DI DERVENI”

  1. Sembra che in tutte le antiche religioni questa fissa dell’anima imprigionata nel corpo fosse un motivo comune. Non fece eccezione nemmeno la religione di Paolo, sintesi di tutto ciò che era già stato detto e creduto da molte altre fedi molto tempo prima.

    1. da quanto ho letto in merito alla parola ANIMA, risulterebbe espressa per la prima volta da SOCRATE per rispondere a coloro che dissertavano sulle doti intellettuali dell’essere umano, ritenute più importanti del cuore stesso come centro di emozioni. Si riteneva che all’intelletto si dovessero attribuire valori superiori in quanto il pensiero nobilitava l’essere umano come tale. Al fine definì l’elaborazione dei pensieri in grado di promuovere ed elaborare concetti e di trovare soluzioni: ANIMA.
      Anima che non ha nulla di divino, a meno che non si cerchino speculazioni religiose.

      1. Secondo me, l’unico impedimento a che “un’anima” possa essere replicata (nel senso di clonata) è il principio d’indeterminazione di Heisenberg.

  2. Sono d’accordo con te.
    Ma hai visto l’Orfeo crocifisso? Quando l’altro ieri pomeriggio lo hanno mostrato in un documentario di Sky (n.b.: Riservato a un pubblico adulto – non ho mica capito il perché) ho fatto un salto sulla poltrona e ho messo la tv col volume al massimo per ascoltare bene.

  3. Sì, impressionante il rinvio alla favola cristiana. In effetti di originale nella religione cristiana, vi è ben poco: solo la sfumata battaglia di un ebreo contro Roma, sommersa da una spiritualizzazione di stampo ellenico.

  4. Ciao kefos. Mi fa piacere sapere che ci segui sempre, anche se non capisco di cosa tu mi debba ringraziare. Non mi pare d’aver fatto nulla di speciale. 😀
    Un abbraccione anche a te.

  5. Mi piace semplicemente avere sempre notizie sul mai esistito ” cristo “.
    Ovvio, per mandare ” affangala ” i cristicoli !
    Abbraccioni.

    1. Un ateo deve sapere molto di più di quello che so io. Un ateo è qualcuno che sa che Dio non esiste.Alcune definizioni sull’ateismo sono molto stupide.
      Informati un po’ chi ha detto qst , magari la tua cretinaggine avrà un barlume di chiarezza

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