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IL PAPA A "LA SAPIENZA": LETTERA A "REPUBBLICA"

di

FEDERICO BOEM      aka  ASMENOS   (BLOG: IL RASOIO DI OCKAM)  

Oggi ho pranzato fuori. E mentre alla TV guardavo le folle osannanti in San Pietro improvvisamente ho capito come impostare quel che volevo scrivere da qualche tempo circa la questione della protesta alla Sapienza.
In aggiunta tutto quanto avevo letto finora non mi soddisfaceva. E allora, vuoi per volontà di chiarezza, vuoi per narcisismo ho deciso di farlo sotto forma di una lettera. Una lettera alla Repubblica.
Vuoi perchè è il giornale che leggo, vuoi perchè spero che la legga Scalfari, che nel suo editoriale di oggi mi piace fino ad un certo punto.
Che dire, ecco qua il frutto del mio lavoro.

Caro Direttore
Mi accingo a concludere queste riflessioni dopo aver visto la folla accalcarsi a San Pietro per ascoltare le parole del Papa. Sulla vicenda de “La Sapienza “, in questi giorni i giornali si sono riempiti di opinioni e commenti provenienti da quasi ogni orientamento politico e culturale. Dico quasi perché ritengo che, coloro che questa protesta l’hanno iniziata e condotta, non abbiano invece avuto spazio su quasi nessun organo di informazione, e che siano stati oggetto di un processo di mistificazione del pensiero che credo sia piuttosto grave. E’ per questo dunque che ho pensato di scrivere questa lettera, di fronte alla constatazione che, le parole che avrei voluto sentir dire a gran voce sulla stampa laica, non le ho sentite. Cercherò di essere sintetico e per questo strutturerò questa lettera per punti.

1) Uno dei fattori che mi ha maggiormente sorpreso è stato l’unanime giudizio di intolleranza attribuito ai promotori della protesta. Da parte del mondo cattolico, che ha gridato alla censura nei confronti del pensiero del Pontefice ma anche da parte di molti intellettuali laici e non credenti che hanno sottolineato come il dialogo e la libertà di parola siano uno dei valori del pensiero moderno sostenendo che l’accorato appello di quei professori e studenti della Sapienza avesse disatteso proprio quei valori. Entrambe queste posizioni, a mio avviso, contengono degli errori di fondo. Parlare di censura nei confronti del Papa è fuori luogo, poiché la censura è uno strumento di coercizione della libertà d’espressione, esercitato da un potere costituito. I professori della Sapienza non hanno censurato nessuno. Si sono espressi certo in maniera nettamente sfavorevole alla visita del Papa, argomentando che la scelta di chiamare il Papa fosse inopportuna ma non hanno preteso che il suo pensiero fosse ridotto al silenzio. Per ascoltare il Papa del resto basta accendere la televisione o la radio. Molti laici hanno invocato il principio di tolleranza sostenendo che fosse stato palesemente ignorato ma mi permetto di dissentire. Tollerare significa rispettare che ha posizioni diverse dalle proprie. Ma tollerare non significa non criticare quelle posizioni. I professori hanno criticato una posizione teorica con tale vigore da far capire che hanno ascoltato attentamente le parole del Papa. Chi fosse veramente intollerante non avrebbe certo criticato (ma forse avrebbe semplicemente negato), poiché la critica è la prima fase del confronto. E’ forse piuttosto la pretesa superiorità etica sbandierata da certi ambienti cattolici ad essere intollerante, giacché giudica, de facto e senza appello, la dimensione etica laica come inferiore sia nel presente che nella speranza del proprio orizzonte.

2) C’è poi chi ha invocato a modello di civiltà e libertà d’espressione la prassi di certe università straniere che più volte hanno invitato personaggi di ogni orientamento (e a volte scomodi) in nome di quel principio di tolleranza che tollera gli intolleranti. Tengo a precisare che la prassi di quelle università è sì di invitare tali personaggi ma anche quella di sottoporli ad un vero confronto e dibattito cui l’ospite non può e non deve sottrarsi. Non voglio fare un processo alle intenzioni, ma sono piuttosto scettico circa l’eventualità che se il Papa fosse andato alla Sapienza, si sarebbe arrischiato in un confronto diretto con chi lo avesse contestato.

3) Infine il giudizio dei professori circa l’inopportunità della visita di Benedetto XVI, è stato oggetto di fraintendimenti e polemiche, che tutto hanno fatto meno che centrare la questione. Il messaggio che i media hanno passato è stato quello di un ristretto gruppo di professori integralisti, animati dal furore laicista, che si sono trincerati in un rifiuto totale di dialogo con le posizioni cattoliche. Ma i messaggi (questi sì ignorati dai media) dei fautori della protesta hanno più volte spiegato che la questione non stava nelle opinioni del Papa in quanto tali. Il Papa ha il diritto (e per il mondo che rappresenta anche il dovere) di pensare come ritiene più opportuno circa tutte le questioni che reputa rilevanti. Per quanto criticabile il suo pensiero è legittimo e non è infatti sulla legittimità che è stata argomentata la protesta, quanto piuttosto sul fatto che le modalità di questo suo intervento non fossero tese a favorire il tanto invocato dialogo ma anzi lo negassero del tutto. Una visita dunque che non era stata concepita come un confronto, ma anzi viziata dal solito, quanto sospetto, fraintendimento che vede le cattedre universitarie come se fossero altari, non poteva che essere giudicata inopportuna giacché le lezioni non sono prediche né la ricerca scientifica è una rivelazione da accogliere quanto piuttosto un’attività a cui prendere parte.
A quegli intellettuali che si sono espressi nei vari distinguo prendendo le distanze dalla contestazione sulla base di fantomatici effetti boomerang, faccio il mio modesto invito da studente a voler considerare la protesta per quello che è stata, chiamando le cose con il nome che hanno. Perché se anche nel mondo laico inizia la mistificazione delle parole e delle idee, allora forse non varrà la pena battersi per concetti come “Libertà”, “Tolleranza” e “Democrazia” sapendo che sono senza significato. Un pericolo che credo nessuno, voglia davvero correre.

Distinti saluti

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