UNO STUPIDO GIOCO

solitario

Ho sempre troppo poco tempo. Sono anche molto lento nell’elaborare i testi, cosicché non arrivo nemmeno a metà di quelli che provo a buttar giù, che spesso già s’è fatta notte. Ne consegue che anche ciò che tento di scrivere con maggior serietà, il più delle volte non sfugge alle maglie della mia personale 194.

Sarà l’ennesima volta che voglio proporre un modesto ragionamento sull’esistenza, che spero non sia interrotto anche stasera dai mugugni spazientiti di chi non comprende che pure il pensiero più banale  richiede un po’ di solitudine e silenzio; detto tra noi, in comune con Socrate ho purtroppo solo Santippe.

Chi non conosce il “solitario” fornito col pacchetto di Office? E chi non ha provato a giocarci almeno una volta?  Domande ovviamente retoriche, ma buone per introdurre il discorso.

Il nostro gioco, come quasi tutti quelli di carte, è impregnato d’una dose fortissima di casualità. Esiste spazio per una certa abilità del giocatore, il quale può essere in grado di memorizzare determinate posizioni e scegliere se togliere o meno le carte dalla terna che  scopre di volta in volta, per collocarle nei vari mucchietti, ma questa è l’unica strategia che gli viene concessa. Per il resto, la sua funzione è solo quella di premere il pulsante che gira le carte. Il caso sarà sempre l’unico e autentico arbitro del vincere o del perdere. Vincere o perdere che, giocando una serie numerosa di partite, si alterneranno tra loro in un carosello casuale, dove il perdere avrà senza dubbio la prevalenza.  

Vincere significa riuscire a dividere i mazzi secondo il loro seme, in una disposizione ordinata che parte dall’asso per terminare col re. La sequenza da completare è l’unico elemento definito a priori: la regola del gioco.

A questo punto, direi che possiamo far partire la metafora. La singola carta non conosce il proprio ruolo; essa pertanto si collocherà nella sequenza prestabilita secondo una regola che le sfugge completamente. Il giocatore, pur conoscendo la regola e a meno che non si tratti d’un abile informatico, con la propria scelta  è in grado d’influenzare solo in maniera estremamente marginale il gioco stesso, poiché il suo precipuo compito risiede  nel premere il pulsante sinistro del mouse: attività che potrebbe tranquillamente venir sostituita da un automatismo. La regola è tale solo perché s’è stabilito che sia così; ma la sequenza vincitrice ha natura senz’altro arbitraria e potrebbe essere modificata con qualunque altra a cui decidessimo di dare un  personale senso. Non c’è motivo apodittico per cui un re debba necessariamente posizionarsi dopo il sette o l’asso prima del due.  Un numero infinito di tentativi permetterebbe di estrapolare ogni possibile sequenza inventabile, tutte con una certa probabilità di riuscita.

Se Santippe non fosse già qui alle mie spalle, intenta a mugugnare, completamente indifferente nei confronti del “dove veniamo”, assolutamente ignava sul “chi siamo” e splendidamente incurante del “verso cosa andiamo”, a questo punto mi chiederei: qual è il senso di tutto ciò? 

E comunque, non saprei mai rispondere.

 

4 Risposte a “UNO STUPIDO GIOCO”

  1. 1) esprimo la mia personale solidarietà a Santippe: ti sei scordato un’altra volta le medicine e guarda cosa combini… 🙂

    2) la sequenza del mazzo di carte è quella giusta perché è incatenata agli/dagli elementi fondamentali del pensiero umano: al primo posto il Re (io so’ er Re e voi nun zete un cazzo – Belli), poi la Donna (Donnaaaa, tutto si faaa per teee), poi il Fante (scherza coi Santi e lascia stare i Fanti – o il contrario? boh), poi a digradare le previsioni di crescita del PIL degli ultimi governi, fino ad arrivare al sottinteso zero, che è il tasso di crescita reale (e ci va pure bene che non forse è negativo).

    Tutto a posto, no? Adesso vado a prendere le mie pillole :-))

    Saluti folli

    meditapartenze

  2. Ciao Medita.

    Sono io che ho bisogno di solidarietà, non Santippe.

    Però, hai perfettamente ragione: scordare d’assumere il lexotan mi causa evidenti effetti nefasti. 🙂

    Un abbraccio.

  3. Hai mai provato a giocare in modalità punteggio vegas cumulativo??

    Provaci, e scoprirai una cosa: vincere è questione di fortuna. Ma non perdere è questione di bravura.

    In questo tipo di solitario anche se non metti tutte le carte in cima il tuo punteggio (che equivale a fantomatici soldi scommessi) può andare lo stesso in attivo. Bisogna sapere che strategia applicare però.

    A volte val la pena tirare giù una carta dalle posizioni in alto perdendo soldi, per scoprirne di più e metterne poi un numero maggiore in alto dopo, altre volte bisogna lasciarla lì a fare soldi, perchè anche scoprendo nuove carte è improbabile che tu riesca a tirare su la partita.

    ==Vincere o perdere che, giocando una serie numerosa di partite, si alterneranno tra loro in un carosello casuale, dove il perdere avrà senza dubbio la prevalenza.==

    Il non vincere avrà la prevalenza. Le partite vinte saranno una ristretta minoranza. MA… una lunga serie di partite non vinte dove i soldi vanno in attivo trasformano le non vittorie in vittorie. E alla fine le sconfitte sono la minoranza.

    La fortuna è un fiume in piena a cui non possiamo mettere argini. Ma anzichè tentare di combatterlo, possiamo provare ad assecondarlo, cambiare strategia e non giocare per vincere, ma per fare punti.

    Un solitario molto, MOLTO machiavellico.

  4. Ehi, Ken!

    In verità sono un po’ allergico ai giochi di carte.

    Col mio pseudo-ragionamento proponevo il gioco come metonimia dell’esistenza, opponendo la casualità percepibile alla parvenza d’un disegno intelligente ispirata dal risultato raggiungibile. Provo interesse nella dinamica delle reiterazioni continue di azioni banali contrapposta alla tesi della complessità irriducibile.

    Si trattava perciò d’una provocazione.

    Ciao :-))

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