TRATTATO DI ATEOLOGIA di Michel Onfray

Michel Onfray

 

Recensione di Raffaele Carcano, Roma
novembre 2005

Reduce da un clamoroso successo in Francia (oltre 200.000 copie vendute), il testo di Michel Onfray, fondatore dell’Università popolare di Caen, è stato recentemente pubblicato anche in Italia, dove pure è entrato nelle classifiche di saggistica.

Diamo subito il senso del titolo: con “ateologia” l’autore non intende l’elaborazione di una sorta di “scienza dell’ateismo”, quanto lo «smontare filosoficamente» la teologia. A-teologia, quindi, obiettivo che Onfray sviluppa in tre tappe, proponendosi di decostruire i tre monoteismi, il cristianesimo, le teocrazie. Il volume si rivela dunque, essenzialmente, una critica serrata e spesso irriverente delle pretese delle religioni, attingendo a piene mani all’arsenale argomentativo del pensiero libero, dal De tribus impostoribus ai libertini, dagli illuministi a Nietzsche, fino a Bataille. Tesi non nuove, ma presentate con una verve spigliata e sicura di sé che sicuramente attrarrà chi si avvicina per la prima volta a queste tematiche. L’ironia è sparsa a piene mani, con battute spesso fulminanti: «L’obbedienza si misura bene solo per mezzo di divieti»; «Il monoteismo passa per essere la religione del Libro – ma sembra piuttosto la religione di tre libri che non si sopportano affatto»; «Dio non è morto perché non è mortale. Una finzione non muore».

Nella prima parte Onfray delinea la propria visione storica dell’ateismo che, a suo avviso, comincerebbe solo nel Settecento in Francia, con il Testamento dell’abate Meslier, il primo uomo a negare recisamente l’esistenza di Dio. Se il fatto è innegabile, nondimeno è anche casuale: chissà quante altre imbarazzanti memorie di atei furono fatte sparire nei secoli precedenti. La negazione esplicita di Dio è diventata una via percorribile solo recentemente e la circospezione di molti filosofi del passato è ampiamente giustificata. Si pensi a Giulio Cesare Vanini, del quale Onfray irride il cristianissimo titolo della sua opera maggiore, senza considerare che l’artifizio di scrivere opere fintamente apologetiche, in cui le ragioni della miscredenza venivano contrastate con estrema debolezza, è stato ampiamente praticato nel corso del Seicento (anche Pierre Bayle vi fece ampiamente ricorso: del resto, lo stesso De rerum natura di Lucrezio non comincia forse con un inopinato inno a Venere?).

Il limite di questo testo (tutti i libri hanno limiti: soprattutto quelli sacri!) è che alla pars destruens, che Onfray allarga all’ateismo contemporaneo (giudicato troppo dipendente dai valori religiosi,) non si accompagna alcuna pars construens. Secondo Onfray l’ateismo «non è una terapia, ma una salute mentale recuperata»; sottolineandone «la Filosofia, la Ragione, l’Utilità, il Pragmatismo, l’Edonismo individuale e sociale, cioè sollecitazioni a muoversi sul terreno dell’immanenza pura, per il bene degli uomini, con essi, per essi, e non con Dio o per Dio», Onfray rammenta «l’aspetto solare, affermativo, positivo, libero, forte dell’individuo che si colloca oltre il pensiero magico e le favole». L’istintuale affermazione secondo cui «dirsi ateo è difficile: atei si è chiamati» contrasta però un poco con queste premesse, e ci sarebbe aspettati che l’ultimo capitolo, intitolato Per una laicità postcristiana, non fosse dedicato per tre quarti all’Islam. Per la verità, lo stesso autore sostiene che una diversa etica è di là da concretizzarsi, e che solo «in seguito occorrerà lavorare a un nuovo progetto etico per creare in Occidente le condizioni di una vera morale postcristiana».

Il testo è corredato da una bibliografia ragionata (forse un po’ troppo francofona), ricca di testi interessanti, purtroppo spesso irreperibili nel nostro Paese.

Un’opera divulgativa, quindi, che consigliamo soprattutto ai neofiti: nel contempo, dopo il successo del pamphlet di Giulio Giorello Di nessuna chiesa, il volume di Onfray conferma che gli atei, e più in generale i laici (autori e lettori), non hanno alcuna intenzione di subire passivamente il ritorno (esclusivamente politico) del sacro.

 

 

6 Risposte a “TRATTATO DI ATEOLOGIA di Michel Onfray”

  1. beh io continuo a pensare che è troppo facile argomentare che una cosa non esiste perchè non se ne ha evidenza. E certamente è vero anche il contrario, ossia che se non si può smentire scientificamente qualcosa allora quel qualcosa esiste. Sono invece daccordo con la lettura critica dei culti, perchè questi non si accontentano di affermare dio, ma si spingono a fornirgli un’identità precisa, ossia ciò che dio è e che non è. Sto leggendo harris, e dalle prime pagine che ci gira intorno senza centrare (almeno per il momento) il punto: i conflitti religiosi tanto deplorati da harris hanno le loro motivazioni in: non solo il mio dio esiste, ma il tuo è falso, oh miscredente.

    Grazie per i tuoi continui suggerimenti. Attendo con ansia la nascita della lector-card e dei suoi vantaggi in libreria………..!

    🙂

    red

  2. Se nessuno però ti avesse inculcato l’idea di “Dio” ti porresti domande sulla sua esistenza?

    Secondo me no. Ti faresti però sicuramente altre domande. Più genuine forse e meno viziate da chi pretende di avere il magistero sia delle speranze che dei sogni delle persone.

  3. Se nessuno però ti avesse inculcato l’idea di “Dio” ti porresti domande sulla sua esistenza?

    Ecco questo è il fondamento dell’identità di dio. Quella che apprendiamo dai padri e trasferiamo ai figli. Ma il dubbio ci porta verso qualcosa d’altro. O lo neghiamo o ne immaginiamo uno nostro. C’è un vantaggio: che parlandone ai nostri figli, non gli diremo mai che è così e basta. Resterà nostro per sempre, esclusivo come noi. Nessuno si ammazzerà per questo e nessuno rivendicherà il magistero del bene e del male sulla scorta del nostro dio personale.

    red

  4. Ciao Red. Ciao Asmenos.

    @–>Red

    Mi hai dato proprio una bella idea … ;-)).

    Il mio personale percorso m’ha infine portato a ritenere totalmente illogica qualsiasi idea di dio. Rispetto alla genesi del bisogno religioso nell’uomo, abbraccio la proposta freudiana che suggerisce il costrutto di base della divinità come un succedaneo della figura del padre.

    @–> Asmenos

    Il c.d. criterio di economicità, che presiede ogni fenomeno naturale, porta ad escludere qualsiasi “essere supremo” in quanto privo di necessarietà.

    Ciò non vuol dire che uno non possa costruirsi una sua divinità di riferimento personale (nel senso “deista” e non “teista” del termine), se ciò lo fa sentire psicologicamente meglio. Come latitidune e longitudine sulla carta geografica: in realtà non esistono, ma rappresentano un sistema di riferimento utile. Almeno fino a quando non ce ne sia uno migliore. Le costruzioni teogoniche delle religioni istituzionalizzate, invece, sono assolutamente risibili e offensive per l’intelligenza, nei loro impianti teologici e nella loro teleologia. A me interessano solo dal punto di vista storico e antropologico-culturale.

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