Credo d’avere un’ipotesi plausibile su come operi il meccanismo di sviluppo dell’intelligenza negli esseri viventi. [1]
Potrebbe ragionevolmente trattarsi d’un funzionamento alquanto elementare del tipo premio-castigo.
Un’unità biologica di base potrebbe essere tale in quanto capace di distinguere [2] tra ciò che le procura danno e quello che invece le crea vantaggio, calibrando il proprio comportamento di conseguenza. L’immagazzinamento mnemonico dell’informazione ottenuta, unitamente a quella d’elaborazione della medesima (operazioni queste, oggi riproducibili artificialmente) portano poi ai vari e più complessi gradi d’intelligenza (da intelligere) che si sono evoluti nel corso delle ere geologiche.
La ricerca (ad es. in campo informatico) dovrebbe concentrarsi sulla possibilità di ricreare tale capacità. Molto interessante sarebbe comprendere se la biomassa generi endogenamente simile proprietà (ammesso che la mia ipotesi sia plausibile) o si limiti ad essere un mero ricettore di qualcosa d’esogeno (un po’ come la radio per le onde sonore). Nulla esclude, infatti, che una "particella" dotata di simile proprietà di "discernimento" tra ciò che le provoca vantaggio e ciò che le crea danno, esista al di fuori della biomassa stessa e che quest’ultima si limiti solo a "catalizzarla". In tal caso avrebbe senso parlare di "anima", anche se in maniera del tutto diversa rispetto a quella comunemente elaborata dalle religioni che fanno uso di questo concetto.
"Anima" e "dio" diverrebbero con ciò unità misurabili.
Portata a ulteriori sviluppi e in un ambito che più mi si addice, una simile prospettiva consente di spiegare pure le religioni e fornire nuovi presupposti alle discipline sociali.
[1] Ignoro se un’idea simile sia già venuta a qualcun altro.
[2] "Distinguere" in questo caso va inteso solo in un’accezione estremamente riduttiva di "propendere" o "evitare", come quando ci troviamo di fronte a un bivio e scegliamo il percorso in relazione a una destinazione molto semplice.