PIETRO E PAOLO

Pietro_e_Paolo

Si notino le differenze nei richiami alla figura di Gesù riportati in questi due passi:

"Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete -, dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso" (Atti degli apostoli 2, 22-23).

"Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide, secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore" (Romani 1, 1-4).  

Dal Gesù storico di Pietro a quello meta-storico di Paolo, v’è il chiaro passaggio da un approccio che fu certamente  riformatore, tuttavia omogeneo con la precedente tradizione giudaica, a una concezione che rompe la continuità e diviene totalmente incompatibile con la precedente.

La causa  deve principalmente  imputarsi al crollo della nazione giudaica, avvenuto nel 70 d.C., che sconvolse la nascente ma variegata comunità cristiana, distruggendo il nucleo di quella che era ancora definibile "ebraico-cristiana", la più antica ed autorevole, il gruppo di Gerusalemme.

L’estinzione della comunità originaria coincise con la distruzione della città e fa presumere il coinvolgimento degli ebreo-cristiani nella causa comune contro la furia romana che devastò il paese.

E’ probabile che le forme giudeo-cristiane fossero piuttosto differenziate, così come lo era il giudaismo più tradizionale. Il desiderio delle comunità disperse sul suolo dell’impero di distinguersi agli occhi dei romani rispetto ai confratelli coinvolti nella rivolta ebraica e la contemporanea distruzione del gruppo centrale rimasto più ortodosso rispetto al predicato originario – nonché detentore del canone –  determinò l’affermarsi predominante dello schema narrativo paolino, che appare già evidente in Marco: un Gesù mitico, divinizzato, non più storico, ma "modulato secondo le esigenze di comunità cristiane in imbarazzo sia per la rivolta ebraica che per il trionfo dei Flavi".

    

7 Risposte a “PIETRO E PAOLO”

  1. e non è la sola contraddizione in un apparato scritturale che viene invece presentato come monolitico: ho ascoltato molti tentativi di spiegazione, anche appassionati, ma non riescono a rovesciare il dato obiettivo.

    Ciao Lector 🙂

    medita partenze

  2. Ciao, Medita.

    C’è chi afferma che il cristianesimo stesso (che trova nel cattolicesimo la sua espressione più istituzionalizzata) si regge su questo esproprio proditorio ai danni del giudaismo. Ora che la Chiesa non può più mettere a tacere d’imperio la polifonia di voci dissenzienti rispetto al canone ufficiale, si assiste a un’emersione sistematica delle contraddizioni implicite del suo impianto costitutivo.

  3. Oh, che guazzabuglio: terminologico, storico e persino “teologico” (nel senso di “dottrinale”).

    Innanzitutto, il Gesù “storico” che sarebbe sostenuto da Pietro è in realtà il Gesù degli Atti degli apostoli, cioè di un testo che propugna chiaramente una concezione divinizzata del Cristo, e che servì d’appoggio alle missioni di area paolina.

    E com’è che dell’ebreo Paolo, che presenterebbe un Gesù “metastorico”, si cita una frase che invece incardina il Cristo nella discendenza davidica (cosa che Gesù stesso, a quanto pare, non apprezzava gli venisse messianicamente imputata)?

    Paolo, inoltre, scrive (e muore) prima del 70.

    Quanto al coinvolgimento di gruppi proto-cristiani nella guerra giudaica, è cosa smentita da abbondanti studi, e dalle stesse fonti. A meno che, al posto dell’esegesi storica, non ci si rifaccia alla paccottiglia pseudo-storica di Eisenman e compagni di bufale (per non dire di peggio: tra cui le fonti di una lezione di Dario Fo che analizzai con gran disdoro in un vecchio post…).

    Infine, mi chiedo come si possa alludere alla pluralità dei giudaismi dell’epoca, e poi sentenziare sulla discontinuità tra il “cristianesimo” (un cristianesimo) e il “giudaismo”, quest’ultimo improvvisamente assurto a entità compatta. Le cose sono molto più complesse.

    Se vai nel mio blog, trovi alcuni interventi sotto la rubrica “cristianesimo antico e dintorni”, anche su Paolo, sul Gesù storico e sui rapporti tra cristianesimo antico e giudaismo del secondo Tempio, secondo vari livelli (che vanno assolutamente distinti: alcuni sono di taglio confessionale, mentre altri si limitano a temi particolari, affrontati però da un punto di vista storico, seppur con la necessaria stringatezza di un post).

    Un cordiale saluto.

  4. Ciao, PiccoloZaccheo. Grazie per l’intervento.

    Ovviamente, prima di qualsiasi replica, accolgo l’invito di verifica della documentazione da te proposta sul tuo sito.

    Solo un’osservazione: siamo perfettamente d’accordo che gli Atti sono nel loro insieme conformi alla proposizione paolina. Ma quello che si legge nel post è un dato testuale. Nel versetto immediatamente successivo, infatti, il carattere divino del cristo viene perfettamente ribadito. Ma allora, quel “uomo accreditato da dio” cos’è: solo una svista, uno svarione del traduttore, un significato recondito male reso nel passaggio dall’aramaico al greco?

    A risentirci.

  5. Vedi tu. A me pare che il post soffra di una arbitraria sovrapposizione fra livello dottrinale e livello storico (che possono intrecciarsi, ma non confondersi), fregandosene dei termini in cui l’uno e l’altro debbono essere correttamente impiegati.

    Posso dire due cose, in fretta. Da un punto di vista storico, noi dobbiamo interrogarci su ciò che gli autori proto-cristiani volevano dire, senza leggerli alla luce delle nostre personali concezioni o degli sviluppi dottrinali del cristianesimo posteriore. Fermo restando il fatto che gli studiosi, oggi, riconoscono il primato cronologico di una “cristologia alta” – come viene chiamata – rispetto a una “cristologia bassa”. Vale a dire che Gesù venne considerato prestissimo un uomo con prerogative (e origini) sovra-umane (come il Figlio dell’uomo che compare nel Libro delle parabole di Enoc, per intenderci). I dibattiti sulla sua esatta “natura” (come conciliare e/o articolare l’aspetto divino e l’aspetto umano, ad es.) cominciano dopo, e conducono a posizioni molto variegate, che coinvolgono un ampio spettro di soluzioni: si va dalle interpretazioni diffuse nei circoli ebioniti (Gesù come “vero Profeta”) alle posizioni docetiste (Gesù come spirito divino che prende solo l’apparenza umana). Nei testi raccolti all’interno del Nuovo Testamento, che sono di varia provenienza, si possono trovare passaggi che possono avvallare l’una e l’altra posizione, anche se bisogna distinguere caso per caso.

    Occorre quindi tener presente una cosa, e qui giungo al secondo punto, che riguarda il dibattito – diciamo così – dottrinale. Il cristianesimo antico non è mai stato una “religione del Libro” (e non lo è stato il cristianesimo tout court, almeno fino al protestantesimo). La stessa scelta del Canone (parola che di per sé vuol dire “regola”, con riferimento alla “regula fidei”) viene operata da una Chiesa che ha già fatto precise scelte dottrinali: per una prima fissazione ufficiale del NT occorre attendere infatti la fine del IV secolo. E sono queste scelte che vengono premesse ai testi, e che permettono la scelta stessa e l’interpretazione di quei testi. Dunque è la “tradizione apostolica”, che non fu una tradizione scritta (vedi ad es. cosa dice Papia di Hierapolis, al principio del II secolo!), che precede e “informa” i testi: ed è alla sua autorità che si richiamano i primi concili e le prime dispute dottrinali. Criticarla oggi, appoggiandosi a singoli passaggi del Nuovo Testamento, è un’impresa inutile, oltre che controproducente (dall’interno, posso assicurare che ben altri sono gli argomenti ai quali ci si potrebbe appoggiare): faresti come i Testimoni di Geova, che rifiutano il dogma della Trinità perché non sarebbe espresso a chiare lettere nel Nuovo Testamento (cosa, in un certo senso, vera), ma poi si appoggiano al Nuovo Testamento, la cui scelta è stata effettuata da una Chiesa che aveva già dogmaticamente fissato la fede nella Trinità.

    Spero sia chiaro il senso di queste puntualizzazioni. Detesto le discussioni via internet, e oltretutto non ho molto tempo, purtroppo.

    Rinnovo i saluti.

  6. Io detesto le discussioni, in generale e, soprattutto, abusare del tempo altrui che, in base alla regola aurea e fino a prova contraria, considero altrettanto prezioso del mio.

    Pertanto ti ringrazio per quello che hai sprecato per me: sei stato chiarissimo.

    Con l’occasione, ricambio i saluti.

  7. @–>Piccolo Zaccheo (se ha ritrovato il tempo perduto).

    Leggo su un tuo post del 14.12.2007 (San Paolo a Roma), oramai precluso ai commenti, la seguente affermazione: “contro i cristiani bastò riesumare il vecchio senato consulto del 35, nato dal rifiuto opposto dal senato alla proposta di Tiberio di riconoscere come lecito il culto di Cristo”

    E’ Tertulliano a raccontare la storia che Pilato relazionò Tiberio a Roma sulla crocifissione di Gesù. Sempre per Tertulliano, il principe avrebbe informato della questione il Senato romano, proponendo a favore di questi ancora del tutto sconosciuti cristiani un Senatus consultus per salvaguardare da ogni persecuzione giudiziaria i seguaci del crocifisso (in quanto non riteneva provata la reità di quest’ultimo e loro contro lo Stato romano): cosa che il Senato non fece, ma Tiberio decise di suo.

    E’ opportuno rammentare che su tali basi nel Medioevo si predisposero i falsi Acta Pilati “apocrifi”, contenenti la “Sentenza di Pilato” e la “Anafora di Pilato”, ovvero la “relazione” di Pilato a Tiberio, su cui si basa la leggenda tertullianea del favor di Tiberio per i seguaci di Cristo, dell’arresto e della condanna a morte di Pilato.

    Storia vecchia che dovrebbe oramai essere superata, ma sulla quale gli storici cattolici non demordono, in barba all’opinione degli storici non-confessionali. Il primo documento serio d’un intervento imperiale in materia, non antecede infatti il II secolo con la nota lettera di Plinio il giovane a Traiano, e la successiva risposta dell’imperatore (111-113).

    Noto con piacere che la “arbitraria sovrapposizione fra livello dottrinale e livello storico (che possono intrecciarsi, ma non confondersi), fregandosene dei termini in cui l’uno e l’altro debbono essere correttamente impiegati” non è una prerogativa esclusivamente laica.

    Meno male che poi avanza anche il tempo di parlar male di Malvino che, per carità, non è certo uno stinco di ateo, ma non mi pare sia l’unico cui si possano attribuire taluni sgradevoli difetti e spiacevoli comportamenti preclusivi nei confronti del prossimo. Chissà perché Matteo (7, 4) parrebbe essere rivolto sempre a qualcun altro che non siamo noi.

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