Isabella CHIARI, Ridondanza e linguaggio, un principio costitutivo delle lingue

Prefazione di Tullio De Mauro

Carocci editore, 2002

 

recensione di  Daniela De Meo ( http://nemus.provincia.venezia.it/recens/chiari_txt.htm )

Una parola di più non è necessariamente una parola di troppo.

                                                                                
                                                                                   
Jan Feller

 

semioticaL’autrice, nel presente volume, si interroga sul significato di ridondanza e su come essa si manifesti nelle diverse semiotiche, attraverso una ricerca condotta sia da un punto di vista storico che teorico e applicativo.

 Il testo si articola in tre sezioni:

 –  La storia linguistica della ridondanza

 –  Una considerazione linguistica della ridondanza

 –  Analisi e misurazione di alcuni tipi di ridondanza

 La prima parte si apre con l’analisi del concetto di ridondanza all’interno della teoria dell’informazione (nelle varie definizioni teoriche  e formulazioni matematiche proposte dagli specialisti del settore) in relazione ai concetti generali di comunicazione, informazione ed entropia, e a quelli particolari di incertezza,  disturbo, rumore, equivocazione, codice, crittografia, per citare i più significativi.

La sintesi fornisce un quadro cronologico completo dei metodi proposti dai vari autori citati nel testo, per estendere il concetto di ridondanza dal campo della teoria dell’informazione a quello più specificatamente linguistico; e si articola nell’esposizione dei contributi teoretici fondamentali in relazione alle strutture statistiche del linguaggio, all’economia linguistica, ai bisogni espressivi e alle dinamiche di equilibrio diacronico.

 Obiettivo fondamentale per i teorici dell’informazione è quello di riuscire ad individuare gli strumenti per rendere ottimale la trasmissione di informazione attraverso canali dalla capacità limitata sia dal punto di vista quantitativo che rispetto alla velocità di trasmissione.

 Altro obiettivo importante è quello di dotarsi del migliore sistema di decodificazione possibile in quanto alla potenza e  alla capacità.

I parametri più idonei allo scopo sono individuati nella completezza e nell’economia

 L’informazione è quantificata in una misura H, ed  il messaggio è definito come un modello che trasmette da una sorgente ad un ricevente.
La misura dei mutamenti della nostra conoscenza corrisponde all’informazione contenuta nel messaggio.

 Rilevante di un evento informativo  è il suo grado di imprevedibilità.

 O, in altre parole, il numero di passi indispensabile per identificare la comunicazione fra le altre possibilità.

 In questo senso l’informazione non coincide col “significato”del messaggio, che può risultare irrilevante ai fini della quantificazione dell’informazione.

 Se n eventi possibili hanno p  = 1/n probabilità di realizzarsi, la misura H dell’informazione cresce al crescere di n.

 Se un messaggio è composto da q < n segni, dove gli “n” segni sono tutti equiprobabili in un certo sistema, allora la quantità di informazione trasportata dai “q” segni risulta:

 H = q log n

 Se poi un insieme M contiene “m” segni equiprobabili e quindi  p = 1/m, ogni segno porta una quantità di informazione pari a:

 H = K log m = -K log 1/m = – K log p.

  Se invece  le possibilità non sono tutte uguali, allora la quantità di informazione potenziale risulta uguale a:

 H =KSi pi log pi ,   con K costante positiva dipendente dall’unità di misura.

 Questa formula, che  rappresenta l’informazione, la scelta e l’incertezza di ciascun evento possibile,  come osserva Shannon è, a meno del segno della costante K,  formalmente identica a quella che, in meccanica statistica,  definisce l’entropia di un sistema dinamico e che costituisce il  teorema fondamentale di Bolzmann:

 D s = (S2  –  S1) = K log W ,   dove  D s = S2  –  S1 è la variazione di entropia in una trasformazione di un sistema  termodinamico e  W è la probabilità che il sistema  si trovi in un certo stato.

 

Questa scoperta costituisce il più grande risultato teorico ottenuto da Shannon in teoria dell’informazione.

 

Entropia o energia negativa è la grandezza che in meccanica statistica misura il grado di disordine di un sistema.

 

Più aumenta l’entropia di un sistema dinamico e più diminuisce l’ordine interno del sistema.

 E,  volutamente ridondanti :

più  ordinato è un sistema e minore è la sua entropia interna.

Maggiore è l’incertezza e dunque l’entropia e maggiore risulta la quantità di informazione.

 Meno ordinato è un messaggio e maggiore è la quantità di informazione che fornisce.

Un messaggio scelto tra dieci possibili trasmette una quantità di informazione minore di uno scelto tra mille possibili.

Sono gli eventi meno probabili a fornire un maggior grado di informazione.

Il risultato di una comunicazione è certo  se tutte le possibilità meno una, sono uguali a zero.

Mentre si ha la massima incertezza quando tutte la probabilità sono uguali a 1/n  (una su n possibili)

 Shannon definisce entropia relativa, il rapporto  tra l’entropia della sorgente e il valore massimo di entropia possibile se il messaggio fosse ri-codificato, con lo stesso sistema di simboli,  equalizzando tutte le possibilità di transizione  e rendendo i simboli indipendenti tra loro.

Essa viene definita nella formula:

H / H’  =  H / log n

 dove n rappresenta  il numero dei diversi simboli del testo  e log n  l’entropia massima.

L’ entropia relativa  sarà tanto minore quanto minore è l’informazione contenuta nel messaggio e uguale a 1 quando l’entropia effettiva e quella massima coincidono.

Shannon definisce ridondanza :

1 – H / H’ =  1 – H / log n  (: uno  meno  l’entropia relativa ) 

Essa indica l’indice del gradiente delle frequenze (probabilità) dei fonemi (lettere) in un linguaggio; in realtà  è un indice di struttura interna .

 Minore è l’entropia H e maggiormente strutturato sarà il sistema, mentre l’entropia H’ (equidistribuzione delle probabilità) è indice di mancanza di struttura.

 La ridondanza dunque è legata alla struttura del linguaggio ed è tanto maggiore quanto minore è l’entropia H e quanto maggiore è l’ordine.

 L’ analisi di tutti i concetti legati a quelli di  informazione e ridondanza  (per i quali si rinvia al testo) che Isabella Chiari conduce nel primo capitolo “La ridondanza e la teoria dell’informazione “ del suo saggio, è dettagliata,  ricca  di citazioni e puntuali riferimenti bibliografici .

 Passando all’analisi dei capitoli successivi,

per quanto riguarda “La ridondanza e la teoria del linguaggio”,

Tullio De Mauro (che cura la prefazione del volume) sottolinea più volte il ruolo fondamentale della ridondanza come meccanismo antirumore, come dispositivo  di precorrezione degli errori e come garanzia  per la comprensione degli enunciati.

Il fenomeno della ridondanza produce l’espansibilità della massa lessicale.

 L’approccio del linguista Zipf  invece si concentra sul ruolo della frequenza : studia il rapporto tra la lunghezza delle parole e la loro frequenza d’uso, ed afferma che la lunghezza delle parole tende a mantenersi in un rapporto inverso al numero di occorrenze nei testi.

In relazione ai significati le parole più frequenti risultano semanticamente più generiche.

 Esiste poi una economia della produzione e una della ricezione, le due economie si muovono in direzioni opposte e sono dunque in conflitto:

vi è infatti una "forza" determinata dal desiderio di essere compresi (forza sociale) che conduce all’introduzione della ridondanza, e  un’altra "forza" di pigrizia (forza individuale) che conduce alla brevità e alla semplificazione.

Entrambi questi principi contribuiscono al mantenimento di un equilibrio dinamico con un massimo di economia.

 Martinet specifica ulteriormente la nozione di economia e afferma che l’evoluzione linguistica è retta dall’antinomia permanente tra le esigenze di comunicazione dell’uomo e la sua tendenza a ridurre al minimo sforzo la sua attività mentale e fisica.

 Per De Mauro la ridondanza ha una funzione di stabilizzazione del sistema linguistico nel tempo perché garantisce alle lingue la possibilità di restare stabili in diacronia facendo fronte, col minor numero di innovazioni, al continuo affiorare di nuove esigenze.

Per Dressler la ridondanza è un elemento costitutivo di ogni lingua , nello sviluppo di una lingua la ridondanza deve in sostanza essere conservata.

Il linguista tedesco mira al confronto tra entropia e ridondanza  in lingue naturali e in lingue artificiali e  contribuisce alla chiarificazione della nozione di ridondanza sintagmatica, che risulterebbe dalla diversa frequenza degli elementi di un livello (ad esempio grafemi) ed è riconducibile alla teoria dell’informazione e ai suoi tentativi di misurazione dell’entropia delle lingue.

 La ridondanza paradigmatica è la ridondanza dell’inventario, dipende dal repertorio di elementi del sistema, in altre parole dal grado di saturazione di un sistema linguistico.

 Pulgram osserva che ogni lingua naturale possiede ridondanze, luoghi  dove un significato essenziale per la comprensione del messaggio è veicolato da più di un segnale.

 Il termine ridondanza è variamente presente nelle trattazioni linguistiche delle varie lingue.

La radice etimologica sembra risalire ad una antica forma indoeuropea che sta per "onda".

 In italiano, francese e inglese è "rid-ondante" tutto ciò che sovrabbonda, che eccede, in senso retorico come sinonimo di pleonastico e ripetitivo.

 Nella linguistica contemporanea "ridondanza" significa reiterazione di parole, marche; elementi ridondanti contengono un numero di indici superiore al numero strettamente necessario per l’informazione, gli indici ridondanti sovra-caratterizzano il contenuto.

L’autrice distingue la ridondanza grammaticale dalla ridondanza enunciativa; la prima dipende dalla strutturazione del sistema linguistico prima che esso venga messo in atto nel concreto parlare,  mentre la seconda mette in gioco tutti quei fattori che sono determinati nell’uso linguistico situazionale contestualizzato.

 Alla domanda sulla possibilità delle lingue di non essere ridondanti l’autrice risponde affermando che la ridondanza così come da lei studiata e descritta sia una caratteristica ineliminabile di ogni lingua naturale.

 I bisogni comunicativi, la struttura pluridimensionale delle lingue, il fatto che il processo di comunicazione  non avviene mai nel vuoto o comunque in condizioni ottimali, questi e altri fattori richiedono la presenza di dispositivi che possano garantire il successo della interazione comunicativa.

 In questo senso va intesa la ridondanza come principio costitutivo e regolativo della competenza linguistica.  

 

(Isabella Chiari è dottore di ricerca in Filosofia del linguaggio e collabora con la cattedra di Linguistica generale dell’Università  “la Sapienza” di Roma.)

 

11 Risposte a “Isabella CHIARI, Ridondanza e linguaggio, un principio costitutivo delle lingue”

  1. Ci ho messo un bel po’ a leggere questo post, e alcuni aspetti tecnici continuano a sfuggirmi. Lettura molto interessante, penso che prenderò il libro, prima o poi.

  2. Ciao Ivo.

    L’ho inserito perché personalmente m’interessava l’approccio al concetto d’entropia in ambito diverso dalla fisica.

    Grazie per il passaggio. 🙂

  3. Ecco, mi ero fiondata quà tutta curiosa e…avrò capito il 30% dello scritto? (ma a voler essere proprio ottimista!:D) appunto: meglio starmene buonina. 🙂

    Invece mi era sfuggito il tuo commento a proposito di:

    “(…) ce l’ho con l’ipocrisia generale, che invoca la forca per un certo tipo di prostituzione e al contempo ne esalta e favorisce un’altra, complici pure le famiglie c.d. “dabbene”

    …condivido in pieno! 🙂

    Tra l’altro, per quante di quelle che “sono in strada” si può parlare di … “libera ed entusiastica SCELTA” ??

    Buonissima giornata!

    brezza :-))

  4. @–Brezza

    Non preoccuparti: è un articolo per specialisti; anch’io, come te, ne avrò capito si e no il 30%.

    Con riferimento all’altra questione – de libera scelta – chi pratica in strada, forse no; ma chi pratica in Tv, sì. Come dice quel vecchio detto: “In RAI lavori solo se la dai. Image Hosted by ImageShack.us

  5. “solo seeee” ??? ma dici davvero???

    e nnnno caro!!! lo vedi che allora pure quà ce sta la magagna??? se una volesse lavorare liberamente in RAI senza (liberamente?) … concedersi a chicchessia, qualsi..voglia (uso parole un pò più..”ottocentesche”) … non potrebbe???

    Alla faccia della libertà!

    non ci siamo mica, nè?! ..né?! ..nê?! neh?! ..(ma come si scrive?)

  6. Scusa, a volte me ne esco in certi modi che “mi capisco solo io”..

    Mi riferivo alla questione “de libera scelta”: se davvero (non so se scherzavi) in RAI fosse così per le donne non sarebbe una “libera scelta” l’andare..

    Non importa..

    Brezza 🙂

  7. E’ un detto satirico, che tuttavia riflette una situazione per molti versi assai vicina alla realtà delle cose. A parte le conferme derivanti dalla notizie di cronaca (vedi “vallettopoli”), spesso ci si chiede come possano certe fanciulle – che null’altra qualità possiedono oltre alla loro avvenenza – venire prescelte per determinati ruoli. Specularmente, la medesima illazione vale per alcuni maschi dotati di scarso talento ma robuste parentele.

    Dai, mica vorrai dirmi che ti sto svelando un arcano? Non hai mai letto “La casta”?

  8. ..no, non mi svelavi un arcano.. proprio per questo ho detto “me ne esco in certi modi che”… che sembra che vivo nel “mondo del sapone”!!! Anche se avessi letto “la casta” (non l’ho letta) …non mi ci abituo mai, non riesco ad “assuefarmi”, a non trasalire o… inorridire(quando ascolto ben altre notizie)

    non ci fare caso, “non ce faccio”,

    “ce so’ proprio” …

    PS) quando hai fatto riferimento ad un “super uomo” è quello che intendeva federico nietzsche?

    Un uomo-dio nato dall’agape…

    penso che già ci siano molti uomini così… ad esempio so che Borsellino era cristiano ma Falcone era “non credente” … laico o come vuoi dire tu… (non sto dicendo che bisogna diventare per forza martiri) …

  9. Ciao Brezza, carissima.

    Sì, intendevo proprio il super-uomo di Nietzsche, solo che il maestro lo immaginava insorgere dalla competitività portata allo stremo, secondo i canoni del darwinismo sociale. Io, al contrario – ma chi sono io, rispetto al grande Friedrich? – lo vedo quale un grande organismo in cui l’amore-agape è il collante che consente all’empatia di renderci veramente tutti parte d’un “unico” (ma non nel senso di dichiarazione dei redditi, come vorrebbe Visco, eh!). Se soffre un membro della comunità, tutti soffrono con lui; se gioisce, tutti gioiscono. In fin dei conti, è solo una questione di chimica. Cosa vuoi, anch’io ho le mie piccole utopie… (P.S. tra l’altro, sono convintissimo – per pura supposizione, data la totale assenza di fonti – che era questo il vero messaggio di Gesù, molto probabilmente formatosi in Egitto alla scuola stoica o assai influenzato da questa, come il suo contemporaneo Filone Alessandrino) 🙂

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