Nel poema epico Ramayana del quarto secolo avanti Cristo, uno dei testi fondamentali dell’ induismo, il saggio Javala si rifiuta di trattare Rama come un Dio e non esita a definire sciocche le sue azioni. Il Ramayana dà ampio spazio ai ragionamenti di Javala secondo cui «non esiste un aldilà, né alcuna pratica religiosa può farci raggiungere un paradiso ultraterreno. Il dovere di adorare Dio, di fare sacrifici e penitenze è stato inserito nelle scritture da uomini furbi che volevano comandare sugli altri». Per l’ indiano Amartya Sen, premio Nobel dell’ Economia, la presenza di un lucido ateo fra i protagonisti del Ramayana fa il paio con un ricordo d’ infanzia. Il nonno di Sen, grande studioso di sanscrito e docente alla scuola di Rabindranath Tagore, lungi dall’ essere deluso dall’ agnosticismo del nipote gli disse: «Dopo avere esaminato la questione religiosa tu hai deciso di collocarti nella Lokayata, cioè nella corrente atea della tradizione induista». Non è questa l’ India dei nostri stereotipi, che crediamo sempre profondamente spiritualista e impregnata di religiosità. Nel suo saggio L’ altra India (Mondadori, pagg. 224, euro 16,50), Sen sfida le semplificazioni per restituire un’ immagine sorprendente del suo paese. Il suo obiettivo non è solo rendere giustizia alla grande civiltà indiana ma dimostrare che la tolleranza, e quindi la democrazia, non hanno radici esclusive nella storia e nel pensiero dell’ Occidente. E’ un messaggio che prende di mira due bersagli diversi, apparentemente opposti. Da una parte c’ è l’ egemonismo di europei e americani che pensano di «esportare» la democrazia. Dall’ altra c’ è un avversario non meno insidioso, agguerrito soprattutto in Asia: è il relativismo politico che respinge la liberaldemocrazia proprio in quanto valore occidentale; è l’ esaltazione di una diversità asiatica che da parte di certe classi dirigenti diventa l’ alibi per negare libere elezioni, legittimare regimi autoritari e calpestare i diritti umani. Scavando nella storia dell’ India Sen individua una meravigliosa ricchezza nella «tradizione argomentativa» che dà il titolo alla sua opera. E’ il costume che da tempi molto antichi lascia fiorire convinzioni diverse, accetta l’ eterodossia e l’ eclettismo, esalta la virtù del dialogo, perché ha in sé una venatura di scetticismo. In un altro testo sacro dell’ induismo, la Rigveda (1500 prima di Cristo), la stessa origine divina del mondo viene messa in dubbio: «Chi può davvero sapere? Chi può affermare certezze? Da dove viene il creato? Forse si è formato da solo, o forse no. Colui che osserva dall’ alto dei cieli, solo lui sa. O forse non sa affatto»
(tratto da Repubblica)
@ Lector
Ho letto un po’ di Ramayana, non posso che altro ringraziarti.
Abbracci.
E di che, Kefos? Sono io che ringrazio te, per la tua testimonianza.
Un abbraccione.