DON ALBERTO BARIN

Capitò un giorno che un tale si trovasse costretto a passare alle tre del mattino per i moli del porto di Venezia.  Una notte triste, uggiosa, pervasa da quella densa nebbia di laguna che toglie i contorni delle cose e confonde la vista e la mente.

Pieno di paura, il tizio camminava apprensivo a ridosso dei muri, strusciando le pareti e cercando di dare meno nell’occhio possibile, timoroso di quei brutti incontri che capita di fare se ci si trova nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Quando oramai gli pareva d’esser sfuggito da quella trappola d’angoscia, all’improvviso, scorse tre ombre. Tre grosse ombre. Incerto se darsi alla fuga verso il lato opposto, rientrando così nel porto e nell’incubo, o tentare la sorte fingendo indifferenza, alla fine risolse per quest’ultima scelta e s’avviò verso quella che riteneva l’unica via di scampo, sebbene presidiata dalle tre spaventose sagome scure.

Mai scelta fu più gravida d’infauste conseguenze. I tre si rivelarono essere dei marittimi turchi, ciascuno del peso di circa centoquaranta chili per un metro e novantacinque d’altezza, con le facce decorate da poderosi mustacchi,  rimasti senza imbarco oramai da varie settimane, per questo assetati di denaro, carichi di violenza e desiderosi di sesso. Saltarono addosso al malcapitato, lo massacrarono di botte, lo stuprarono ripetutamente, lo rapinarono e poi, ferito e sanguinante, lo abbandonarono seminudo sul molo.

Quasi congelato e afflitto dai più lancinanti dolori, il protagonista di questa nostra mesta vicenda trascorse così il resto della notte steso sulla banchina, gemendo e implorando l’aiuto di qualcuno. Nessuno passò. Solo verso l’alba, un’ombra nera e minuta si allungò sul pavimento. Avanzava a piccoli passi in direzione dei lamenti che sentiva.

Il ferito, con le poche forze che ancora gli rimanevano, protese il braccio verso colui che sperava essere il suo salvatore. “Aiuto, aiuto” e l’ombra si fece più avanti. La figura dai contorni incerti si rivelò  un sacerdote. “Oddio, mi aiuti Padre!”. “Per la grazia del Signore, figliolo, che t’è successo?” “Padre, stavo camminando quando ….” e il nostro con voce flebile iniziò così a raccontare tutte le disgrazie che gli erano capitate in quella notte da dimenticare. “E poi mi hanno violentato, padre, tutti e tre. Non c’è stato verso di farli smettere, sembrava che avessero il diavolo in corpo, prima uno, poi l’altro e poi assieme. Un inferno! Mi aiuti, Padre, la prego, mi aiuti!”.

Il sacerdote rifletté per alcuni istanti, che al ferito sembrarono un’eternità e poi, con quel fare un po’  blasé,  da gentiluomo d’altri tempi,  iniziò a sbottonarsi la patta dei pantaloni. “Eh già, figliolo, purtroppo per te, temo che oggi sia proprio il tuo giorno sfortunato.”.

 

Pubblicato da hannibalector

"Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano mia madre e mio padre e tutti gli altri compagni"

2 Risposte a “DON ALBERTO BARIN”

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