Apologetica neo-cattolica (II)

Incute timore la vastità del suo sapere; una girandola spumeggiante di autori, teorie, aneddoti, etimologie sconcertanti, tutto volto a mettere in luce per il volgo ignorante e allocco [intendi: per quanto riguarda le questioni religiose] (circa «la metà del genere umano» secondo i suoi calcoli)

Per molti monoteisti più della metà del genere umano vive nelle tenebre della superstizione, o addirittura dell’eresia o dell’ignoranza [intendi: circa le questioni religiose].

le palmari verità [intendi: circa le questioni religiose] che lui scoprì precocemente, già da ragazzo sui banchi dell’Istituto Tecnico

Sarcasmo del tutto fuori luogo: per molti teisti si tratta di verità “scoperte” addirittura prima dell’Istituto tecnico: già alle scuole elementari o al catechismo o alla scuola coranica, “scoperte” grazie alla sollecitudine di preti, catechisti, maestri o genitori.

Ma anche l’altra metà del genere umano avrà tutto da imparare, mentre preti e cardinali avranno pane per i loro denti. Una rivoluzione, a confronto della quale Copernico fa ridere i polli: per tremila anni e più l’umanità si è lasciata turlupinare dai preti

E’ esattamente quello che sostengono le religioni monoteiste. Anzi, per esse la stragrande maggioranza degli esseri umani, e per ben più di tremila anni, si è lasciata turlupinare, appunto, da falsi profeti, sacerdoti e sciamani di “dèi falsi e bugiardi” o addirittura – nelle versioni più fantasiose e paranoiche – da oscuri emissari (“I Massoni”, “Gli Ebrei” etc.) di figure demoniache o di Belzebù in persona.

Tuttavia, quanto alla sentenza terribile «cristiani = cretini», che riassume il giudizio ormai definitivo sulla civiltà di questi ultimi venti secoli [intendi: circa le questioni religiose] e che sarebbe «confermata anche dall’etimologia», mi sorge un dubbio, e di ciò chiedo venia ai miei quattro lettori. Non sulla verità dell’asserzione, che – essendo uscita dalla laica e loica Mente del Sullodato – non può essere che vera […]

L’ironia qui è fuori luogo: laicismo non significa ovviamente pretesa di avere sempre ragione, ma pretesa che quando si formula una posizione lo si faccia sulla base della ragione comune a tutti gli esseri umani. Tra l’altro l’argomentazione razionale è proprio lo strumento usato – in parte – dallo stesso Paolo Martino nella sua recensione critica.
Quando si argomenta in base a ragioni ci si muove sul terreno laico. Quando si obietta facendo riferimento a Rivelazioni (di una dea, di uno spirito, di un’accozzaglia di demoni etc.) o a Testi indiscutibili non ci si muove su quel terreno.
Per esempio: invece di mostrare la scarsa competenza etimologica del suo avversario, adducendo ragioni e citando ricerche scientifiche, l’autore della recensione avrebbe potuto semplicemente richiamare questo o quel passo di un Testo sacro o le disposizioni del magistero. Il primo modo di procedere è quello dell’argomentazione laica (razionalista etc.). Il secondo stile argomentativo non è "laico". Nel momento in cui fa uso di ragioni, anche Paolo Martino è laico, laicissimo. Nel momento (e per tutto il tempo) in cui fa uso di ragioni, lui stesso è un razionalista, tanto quanto lo è quello che lui crede essere il suo nemico. La scienza, poi, è essenzialmente laica: Martino potrebbe discutere con un collega mormone sulle desinenze dei dialetti greci arcaici fino al momento in cui quello pretendesse che le proprie tesi devono essere accettate (anche da Martino) perché sono state rivelate alla sua setta da un angelo di dio.

“Laicismo”, quando viene usato in contesti analoghi a quello che stiamo esaminando, non è una particolare posizione dogmatica stabilita una volta per tutte, un catalogo di proposizioni accettate per fede: è un metodo, un modo di interagire con gli altri, un modo di comunicare. Spesso gli scolastici medievali erano laicissimi e a volte i marxisti non sono affatto laici. “Laico”, in un senso importante, non è un tema di discussione, ma un modo di argomentare.

Ci sono passi dei Vangeli dove il protagonista “argomenta” in base a riferimenti biblici – in base cioè a una Rivelazione – e altri invece di limpido uso, del tutto “laico”, della razionalità. Si veda per esempio il bellissimo episodio dell’adultera colta in flagrante e condannata a morte dai pii vicini di casa in Gv 8: 1-11, dove Gesù [1] non impone ai sanguinari devoti [2] semplicemente di fermarsi perché lo comanda un dio, ma, con uno straordinario uso affettivo della ragione, su di un piano del tutto umano, senza rimandi a esoteriche trascendenze, induce le persone che vogliono uccidere la donna a riflettere. Esempi analoghi si incontrano anche in altre tradizioni religiose, per esempio in quella islamica, e in particolare nella Sunna del Profeta, in quella ebraica, con apologhi di grande forza nella tradizione talmudica, e ancor più frequentemente nelle tradizioni religiose dell’estremo oriente.

Ma il nostro Copernico continuerà impavido la sua battaglia, dacché l’anima non esiste, e comunque non può trovar posto in un corpo ingombrato da tanta Ragione. 
A partire da questo punto c’è un vistoso scadimento dell’invettiva, che diventa rancorosa esibizione di alcuni tra i più triti luoghi comuni della destra politica italiana degli ultimi anni. 


Qui si moltiplicano immagini e "argomentazioni" ricorrenti nella produzione di quello che in tedesco si chiama “Feindbild”, il nemico in quanto immagine del nemico, il nemico immaginato, il nemico immaginario, il nemico in quanto costruzione sociale, in quanto schema cognitivo, in quanto figura di una narrazione (
l’Avversario), in quanto proiezione del negativo. Naturalmente fanno la loro comparsa i pezzi forti di questa produzione. Come ci si può aspettare si profilano, minacciose e del tutto incongrue, le figure incombenti dell’Arabo e dell’Islam. Eccole.

Immaginiamo per un attimo (è fanta-storia) che la flotta di Mehmet Alì abbia avuto la meglio nelle acque di Lepanto nel 1571. Oggi a Cuneo si parlerebbe arabo.


Arabo? Che cosa c’entra l’arabo? Odifreddi dovrebbe parlare l’arabo? Eventualmente il turco – la flotta di Lepanto era proprio turco-ottomana. Ma l’impero ottomano non ha imposto la propria lingua nemmeno in regioni linguistiche molto più piccole dell’Italia – come la Grecia (rimasta cristiana), o la Bosnia (dove pure c’è stata una diffusa accettazione dell’Islam sul piano religioso). In effetti, la possibilità che un’Italia secentesca sottoposta alla Sublime Porta cambiasse lingua (lingue) per adottare il turco sembra piuttosto campata in aria. (Per inciso, molto più interessante sarebbe immaginare che peso avrebbe avuto sugli equilibri interni – politici, culturali, ideologici –  dell’impero ottomano l’incorporazione di aree così sviluppate, dal punto di vista demografico, economico e culturale (Rinascimento etc.) come gli stati italiani, la Francia o la Spagna del tempo).

Del tutto surreale è però l’immagine dell’arabo a Cuneo! Che c’entra l’arabo? Forse la catena di associazioni è Turchia (dunque) Islam (dunque) Arabo. Sembra che l’autore abbia completamente dimenticato Paesi (islamici) come l’Iran, il Pakistan, l’Indonesia etc. Un linguista dovrebbe avere un po’ più chiara la situazione linguistica dei paesi del mondo, anche di quelli musulmani.

E in ogni caso: il turco o l’arabo sono strumenti espressivi tanto sofisticati quanto il toscano, il danese, il latino, il polacco o il tedesco. Se oggi parlassimo turco, useremmo appunto quel codice linguistico. Dove sta il problema?

E il Nostro si vedrebbe costretto ad appuntare i suoi strali contro Maometto e l’Islam.

Qui il testo insinua il sospetto che il recensito sarebbe un vile che se la prende con chi generosamente gli permette di farlo. Come se la possibilità di esprimersi pubblicamente contro l’ideologia religiosa fosse una graziosa concessione delle chiese cristiane e in particolare di quella cattolica. In realtà questo spazio di discussione pubblica è stato strappato con lunghe e durissime lotte ideologiche.

A proposito, perché la sua destrutturazione si limita a Gesù e Budda e non se la prende con Allah?

Beh, qui la risposta sembra semplicissima: innanzitutto perché il libro di Odifreddi riguarda il cristianesimo (e in particolare il cattolicesimo). In secondo luogo, poi, dal punto di vista concettuale, il dio dei musulmani è lo stesso degli ebrei e, in parte, dei cristiani. Quindi di fatto Odifreddi se la sta prendendo anche con il dio dell’Islam, anche se il recensore non se ne accorge. Comunque, in un Paese dove esiste una “metafisica [così] privilegiata” (l’espressione è di Schopenhauer) da essere insegnata addirittura nelle scuole ai ragazzini (a spese dell’intera comunità), è chiaro che un critico delle sciocchezze teiste indirizzi i suoi sforzi in primo luogo proprio contro quella "metafisica privilegiata".

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[1]
Due precisazioni: forse l’episodio è interamente inventato dall’evangelista e non è attribuibile al Gesù "storico": cerca di argomentare questa posizione Bart Ehrman in Misquoting Jesus, 2005 (trad. it. Milano 2007). Tuttavia ai fini del presente discorso la questione è irrilevante. La seconda precisazione riguarda una personale sensazione di fastidio: il nome del protagonista delle narrazioni evangeliche si è caricato di connotazioni talmente melense che provo una certa ripugnanza a usarlo. In questo contesto mi sembrava però che potesse costituire un esempio efficace.

[2] O alle sanguinarie devote: uno non può non ricordare la grandiosa scena della lapidazione in The Life of Brian.

*Nota: questo post e il precedente sono stati publicati in precedenza su un blog ora chiuso (kommissarlohmann). Ora tornano in qualche modo a casa.

2 Risposte a “Apologetica neo-cattolica (II)”

  1. IMPORTANTE:

    Una persona eccezionale, che mi ha chiesto espressamente di rimanere anonima, per un breve periodo s’era affacciata al mondo dei blog, forse per sperimentare una forma comunicativa diversa da quelle tradizionali. Non trovando soddisfazione in questa particolare dimensione del sociale, per molte e fondate ragioni, ha risolto di concludere tale esperienza, chiudendo il sito. Per salvaguardare almeno una traccia minima del suo ragguardevole lavoro, abbiamo concordato di riportare qui un post, diviso in due parti che, prendendo a spunto il dibattito a distanza tra Antonio Caracciolo e Paolo Martino avente ad oggetto il libro di Odifreddi “Perché non possiamo essere cristiani”, costituisce un significativo commento critico al libro stesso. Le due parti del post continueranno perciò così ad essere linkabili dalla homepage di Odifreddi su ViaLattea. ( http://www.vialattea.net/odifreddi/ )

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